Quando i piccoli si affermano sui grandi non è sempre una buona notizia. E quando il piccolo si chiama Porsche e il grande – 15 volte più grande – Volkswagen la notizia non lascia indifferenti. Dalla centrale di Stoccarda la dirigenza di Porsche ha reso noto di voler esercitare un’opzione di acquisto del 3,6% del capitale azionario di Volkswagen – con un investimento di circa un miliardo di euro – che farà salire la proprietà di Porsche al 30,9%.
«Se un hedge fund decidesse di scorporare il gruppo Volkswagen per portarlo in borsa, potremmo perdere i nostri partner più importanti». Wendelin Wiedeking, amministratore delegato di Porsche, ha motivato con queste parole l’acquisto da parte del produttore di auto sportive di Stoccarda. Ma gli interessi di Porsche sulla più grande casa automobilistica europea sono molto più complessi del gioco di ombre agitato da Wiedeking per ottenere il favore della politica e dei lavoratori. E hanno persino un nome: Ferdinand Piëch.
Il nipote di Ferdinand Porsche – l’uomo che progettò il maggiolino durante il nazionalsocialismo – è stato amministratore delegato di Volkswagen dal 1993 al 2002, e da allora è a capo del consiglio di vigilanza del gruppo. A Piëch spetta il placet per ogni nomina di riguardo all’interno del gruppo – come testimonia la recente sostituzione di Pischetsrieder al vertice di Volkswagen con il fidato Winterkom. Un controllore decisamente invadente e soprattutto in palese conflitto di interessi: la famiglia Piëch, insieme con la famiglia Porsche, possiede il 50% delle azioni ordinarie di Porsche.
Nonostante l’operazione – che secondo molti analisti prelude a una futura scalata – presenti molte ombre e un conflitto di interessi grande come la Volkswagen, il governo di Grande coalizione ha salutato con favore la notizia. Il portavoce del governo Merkel, Ulrich Wilhelm ha descritto il passo di Piëch come un consolidamento della struttura azionaria della società di Wolfsburg. Più ardita la soddisfazione di un portavoce del ministero dell’economia citato dalla Süddeutsche Zeitung, secondo cui ci sarebbe da felicitarsi quando le imprese operano per assicurare posti di lavoro in Germania. Solo in Bassa Sassonia la Volkswagen occupa del resto più di 130mila elettori.
Le parole del governo mostrano in realtà buon viso a una situazione difficile. Da una parte è sì vero che la scalata da parte di Porsche metta in salvo la “germanicità” dell’azienda da take over stranieri, avendo la Porsche insieme al governo della Bassa Sassonia già più del 50% delle azioni. D’altra parte, è invece meno scontata – per un’impresa rallentata da costi di produzione più alti della concorrenza – la futura difesa dei posti di lavoro nelle officine tedesche. Attualmente l’occupazione in Germania è in massima parte tutelata dalle scelte politiche del governo (oggi cristianodemocratico) della Bassa Sassonia, a cui una legge speciale creata apposta per Volkswagen garantisce la maggioranza relativa dei voti nel cda. In caso di licenziamenti, tra l’altro, il governo si dovrebbe fare in parte carico dei sussidi di disoccupazione.
Ma quando la prossima estate l’Ue, con tutta probabilità, cancellerà la legge e la Bassa Sassonia perderà il controllo del consiglio di amministrazione, nulla impedirà ai soci di maggioranza di approfondire il processo di delocalizzazione in nome della riduzione del costo del lavoro. O di riprendere il duro processo di risanamento rallentato con la cacciata dell’ex-amministratore delegato Pischetsrieder, oppositore interno del potente capo del consiglio di vigilanza Ferdinand Piëch. Il grande manovratore ha saputo costruire buoni rapporti con i delegati sindacali per assicurarsene l’appoggio. Il che spiega anche il silenzio dei giorni scorsi dell’IG-Metall. Il presidente del consiglio dei lavoratori di Porsche, il sindacalista Uwe Hück, ritiene «buona» la strategia di Stoccarda su Volkswagen per «tenere un’azienda tedesca in Germania». «Vogliamo evitare che arrivino le cavallette (gli hedge funds), mangino tutto e spariscano lasciando problemi e disoccupazione», ha detto.
Il superamento della soglia del 30% impone oggi alla Porsche l’obbligo di un’offerta pubblica di acquisto sul 100% dell’azionariato, che l’azienda presenterà sul mercato entro un paio di mesi. L’offerta di acquisto di 100,92 euro per azione, non incontrerà però molti favori. Il prezzo sul mercato è infatti attualmente intorno ai 114 euro. I vantaggi di questa strategia sono due: da una parte rallentare l’ascesa del valore delle azioni per agevolarne l’acquisto; dall’altra, in futuro, permettere alla Porsche di arrivare al 50% di Volkswagen senza offerte pubbliche di acquisto, che il diritto azionario prevede una sola volta, quando si è superato il 30% della proprietà azionaria. Ferdinand Piëch potrà così ottenere il massimo risultato – il controllo della Volkswagen – con il minimo impegno finanziario.