«La piazza non basta più»

«E’ ora di passare dallo spontaneismo alla professionalizzazione. Le manifestazioni non sono più sufficienti». Parla Walden Bello, uno dei più ascoltati teorici del movimento no global. Che lancia un appello: «Liberate Giuliana, è la migliore alleata del popolo iracheno»

«Organize, organize, organize». «Organizzarsi, organizzarsi, organizzarsi». Walden Bello è convinto che il movimento no war debba passare dalla fase dello spontaneismo a quello di una maggiore «professionalizzazione» e che, esaurita la fase delle grandi manifestazioni, si debba passare ad azioni di disobbedienza civile di massa. Economista filippino fondatore di Focus on the global south (centro di ricerche e analisi sui processi di globalizzazione con sede a Bangkok), professore di sociologia e pubblica amministrazione all’università delle Filippine, Bello è uno dei massimi teorici del pensiero altermondialista. Il suo ultimo lavoro, «Dilemmas of domination, the unmaking of the american empire», sta per essere tradotto anche in italiano. Invitato in Italia dal Comitato per il ritiro delle truppe dall’Iraq, lo abbiamo incontrato a margine del suo intervento al forum contro la guerra di Firenze, dove ha esordito parlando della nostra Giuliana Sgrena. «E’ ovvio che il suo rapimento è un atto da condannare e che coloro che la detengono dovrebbero rilasciarla. Noi dobbiamo far capire ai rapitori che Giuliana non è una nemica ma uno dei migliori alleati del popolo iracheno. A lei va la mia solidarietà e faccio appello ai rapitori affinché la liberino. Ma questa vicenda sottolinea quello che è il crimine più grave: la partecipazione del governo italiano all’occupazione illegale e immorale di un paese», esordisce.

Però il manifesto è dal principio schierato contro l’attacco e poi l’occupazione dell’Iraq. E in Italia gran parte della popolazione non voleva questa guerra.

Penso che la resistenza irachena non segua così da vicino la situazione italiana. Probabilmente non sanno che il manifesto è un giornale progressista, ma sanno bene che il governo italiano ha le truppe lì. Come è già accaduto con le due Simone bisogna far conoscere loro chi sono Giuliana e il manifesto, e questo credo stia accadendo. Ora stanno realizzando di avere un’alleata tra gli italiani. Ma pretendiamo troppo se pensiamo che la resistenza irachena possa conoscere tutte le dinamiche politiche italiane e che possa distinguere tra il manifesto e una tv di Berlusconi.

Nel frattempo Bush è venuto in Europa e anche a sinistra c’è chi interpreta questo tour come un’apertura al multilateralismo nella gestione dei conflitti internazionali.

La sua è una diplomazia della disperazione. Il presidente americano e le sue corti stanno cercando in tutti i modi di salvare la posizione politica e militare degli Stati uniti e di coinvolgere l’Europa in Iraq. Quello di Bush non è un tour trionfale ma il terzo passo disperato degli Usa per cercare di convincere il mondo che l’attacco era giusto. Il primo fu quando dichiarò che la guerra era finita, e poche settimane dopo cominciò invece la vera insurrezione. Il secondo quando trasferì la sovranità al popolo iracheno, creando un governo fantoccio. E’ il vecchio gioco del dominio, a cui si contrappone una resistenza crescente. Per questo non bisogna lasciarsi sorprendere, l’unica soluzione è il ritiro immediato e incondizionato di tutte le truppe. So che molte persone anche in Italia si chiedono cosa succederebbe se le truppe si ritirassero. Ancora una volta la propaganda Usa dice che sarebbe il caos, con la stessa argomentazione che usavano quando sostenevamo che il Wto (l’Organizzazione mondiale del commercio, ndr) andava cancellato. Ma come l’alternativa al Wto sarebbe l’apertura di uno spazio per i paesi in via di sviluppo per permettere loro di liberare le proprie strategie, così in Iraq si aprirebbe uno spazio per le forze politiche per poter costruire la democrazia. Confidiamo nel popolo iracheno, loro saranno capaci di prendere in mano il loro futuro.

Pochi giorni prima del rapimento di Giuliana in Iraq c’erano state le elezioni.

E subito dopo c’è stata una crescente reazione da parte della resistenza. Il punto è che sono state fatte nella stessa maniera in cui è stata dichiarata conclusa la guerra. Penso che nessuno creda in queste elezioni, e quello che continua a succedere dimostra che sono illegittime.

Il movimento pacifista non è riuscito a impedire la guerra, pur scendendo in piazza in tutto il mondo. Cosa può fare ora per ottenere la fine dell’occupazione?

Questo è un grande quesito. Le manifestazioni, che vanno sempre più scemando, non possono bastare. Bisogna trasformarle in disobbedienza civile. C’è bisogno di una professionalizzazione del movimento no war. Professionalizzazione significa coordinare le azioni: non solo manifestazioni di massa, ma anche la disobbedienza civile e lavoro sui media globali. Bisogna alzare il livello delle azioni, attraverso il boicottaggio delle lobby del business, la disobbedienza, e poi magari anche le manifestazioni. Un target importante possono essere le basi militari in Italia. Ciò non significa, ovviamente, mettere in secondo piano il momento partecipativo, che è la vera caratteristica distintiva del movimento anti guerra. Ci sono spazi per nuovi e creativi sistemi di mobilitazione, e io credo che il movimento italiano sia in grado di fare tutto ciò. Non penso che tanti cortei abbiano realmente smosso il governo, per questo credo che il prossimo passo debba essere una reale disobbedienza di massa. Perché se andiamo avanti per altri due anni solo con grandi manifestazioni Berlusconi ne sarà felice. La strada per il movimento globale contro la guerra è quella di passare dalla fase dello spontaneismo a quella dell’organizzazione. Le tre parole che indicano il cambiamento sono: organize, organize, organize.