La piazza del santo

Un uomo solo al centro della scena. Un uomo solo a personificare un’epoca e un mondo. Oggi è il giorno di Silvio Berlusconi. Il più importante della sua decennale vicenda politica: in gioco c’è il futuro. Un appuntamento preparato meticolosamente, esaltato dal malore di domenica scorsa, perché il Cavaliere sa bene come trasformare una difficoltà in risorsa. Decine di migliaia di fan saliranno su pullman, treni, auto e aerei: per metà ragionier Fantozzi in gita aziendale, per metà devoti di padre Pio in pellegrinaggio, raggiungeranno Roma per assistere al miracolo della resurrezione già avvenuta e in attesa che lo spirito santo scenda sulle loro teste a indicare le future tappe dell’evangelizzazione berlusconiana. Sotto un grande palco omaggeranno l’uomo che vuole essere lì «a costo di morire», ne celebreranno l’essenza, ricavandone in cambio una benedizione. E ricevendo l’incarico di una missione: costruire la nuova chiesa del berlusconismo, oltre lo stesso Berlusconi.
In fondo sono più di vent’anni che il Cavaliere prepara questo momento. Lui sa che avviare il passaggio delle consegne è il momento più importante e delicato per un impero. Sa anche che gli eredi sono litigiosi e poco affidabili e non vuole che l’autobiografia nazionale incarnatasi in lui si disperda in sordide lotte tra delfini. Si muove nell’ambivalenza di una cultura che nutre le più profonde viscere del paese, ma che rischia di non avere più una rappresentanza politica capace di trasformarla in pratica quotidiana ed esercizio del potere. Per questo deve fare il traghettatore, ponendosi al di sopra delle parti, non più come un leader primus inter pares ma come nume tutelare della missione. Più spirito che carne. Anche se lo spirito non è affatto puro e la carne è intaccata come quella di ogni mortale.
Questo è in gioco oggi. Non la Finanziaria, non il riconteggio delle schede elettorali, non la demonizzazione di Prodi: l’asse strategico è il berlusconismo del futuro, il fornire una rappresentanza politica a una cultura ben radicata nell’egoismo sociale e capace di condizionare persino lo schieramento avversario. Dalle tasse alle privatizzazioni, dai consumi individuali alle derive leaderistiche. Con il rischio – per Berlusconi – che il centrosinistra sottragga ai suoi più recenti comprimari il monopolio del berlusconismo.
E’ in gioco un’eredità. Si chiude un ciclo e se ne apre un’altro. O, almeno, così vorrebbe il Cavaliere. Che pensa alla piazza di san Giovanni come a una riedizione, in grande, «della marcia dei 40.000 quadri Fiat» del 1980, «quando l’Italia che lavora e produce volle far sentire la sua voce», l’eterna zona grigia del paese che prendeva la parola e conquistava l’egemonia. Dovrebbe essere l’inizio di una novella era, il progettato «partito delle libertà» che trova un corpo, anche se non ancora un leader. La piazza «contro» le sue burocrazie, il popolo che in nome del re costringe i principi a non tradire le scelte del vecchio sovrano, governando nel suo nome; un’operazione che non è riuscita nemmeno a Carlo Magno. La prosecuzione del berlusconismo con altri mezzi, e nel suo spirito. Gli eredi ce li ritroveremo sparsi ovunque.