La paura fa 40

Meno tre settimane al referendum, e il quorum non c’è ancora. Fra lo strappo di Rutelli e la rabbia di Prodi, il segretario dei Ds ha promesso la mobilitazione straordinaria del suo partito da qui al 12 giugno. Ci contiamo, anche se gli argomenti di Fassino non sono propriamente galvanizzanti. Ed è certo che le ultime decisioni della Margherita non aiutano né il quorum né la mobilitazione. Del resto, di che stupirsi? La vicenda della legge sulla procreazione assistita era stata profetica: dopo lo zelo speso da Rutelli per la sua approvazione, solo gli ingenui o gli strateghi della domenica potevano puntare sulle magnifiche sorti della lista unica. Tre settimane però sono poche per rimontare otto o dieci punti di quorum, e pochissime per risalire l’abissale distanza che il ceto politico ha messo fra sé e la società civile durante gli otto anni di legiferazione contro il «far west procreativo». Il fronte teo-con che nella provetta cerca ancora oggi la rivincita sull’aborto, ha buon gioco nell’impazzare su una scena politica completamente mutata rispetto all’81. Allora il circuito della rappresentanza era ancora in piedi e non poteva restare sordo alle trasformazioni sociali, rivoluzione femminile in primo luogo. Oggi quel circuito è spezzato e la società civile, tanto coccolata a parole da destra e da sinistra nell’inconcludente transizione italiana, di fatto è lasciata a se stessa e alle «guerre culturali» dei media. La politica è assente, spaventata dalle poste in gioco bioetiche e bioscientifiche e perlopiù trincerata dietro l’astensione e la libertà di coscienza: come se dinanzi alla sua stessa trasformazione in biopolitica non avesse più niente da dire.

In tre settimane, bisognerà che il campo del sì ritrovi qualche parola essenziale e comunicabile. Si sta profilando, nella campagna referendaria, un prevedibile paradosso. Di fronte alla mutazione antropologica che lo scenario biotecnologico prospetta, sono i teo-con che impugnano gli argomenti chiave, per riportare ordine laddove secondo loro c’è disordine. Giocando l’embrione clonato contro un desiderio femminile diventato troppo libero, la fecondazione eterologa contro una famiglia «naturale» – ovvero tradizionale – che sta scomparendo, la ricerca scientifica contro l’autenticità del marchio genetico di sangue e di razza, i rischi di manipolazione del corpo umano contro la consapevolezza di quanto già siamo manipolati. Il tutto amalgamato in una indistinta paura del nuovo, del diabolico, dell’estraneo, del promiscuo, che si incolla sulle sensazioni di sradicamento e disorientamento già straripanti nel presente globale.

E l’altro campo? Modera, smorza, abbassa i toni, riduce il danno. Ma non prende nessun toro per le corna. Non dice che l’embrione non è né un essere umano (dogma cattolico) né un ammasso di cellule (dogma positivista), ma una potenzialità dipendente da un corpo e da un desiderio femminile. Non dice che la fecondazione eterologa non introduce artificialmente niente che non sia già praticato naturalmente: né l’incertezza del padre biologico né i e le partner occasionali sono un portato delle tecnologie riproduttive. Non nomina la crisi dell’identità maschile che c’è dietro la fobia di molti uomini, anche di sinistra e a cominciare dai leader della sinistra, verso il seme «rivale» del donatore. Non dice che sì, i rischi di manipolazione ci sono ma non si possono risolvere vietando la ricerca, bensì mettendo uomini e donne in grado di decidere quanto più è possibile di sé. Non si mette di traverso al riduzionismo biologico che impazza trasversalmente, in salsa antiscientista e in salsa scientista, come se storia, società, cultura, contesti non contassero più nulla su una «vita» ridotta a cosa e a pezzi di cosa, ovociti, sperma, embrioni, cellule, geni semoventi come nei film di fantascienza.

Troppo difficile? Questa è la posta ed eluderla è suicida mentre gli altri la cavalcano. Ma non mancano argomenti più commestibili per chi la consideri indigesta. Il primo, l’ha ricordato l’altro ieri Stefano Rodotà, è che la legge 40 fa strame dei principi costituzionali. Discrimina, calpesta la dignità, limita le libertà. Introduce una forma di legge che non va bene sulla procreazione assistita e non andrebbe bene su niente. Per dire questo, chiaro e limpido, tre settimane bastano. Per tirare l’allarme sulla Costituzione non c’è bisogno che arrivi in porto la riforma di Berlusconi. E per buttare una legge non c’è bisogno di affannarsi a garantire che sarà subito riscritta.