La partita a scacchi di Dini? E appena cominciata

Se si guarda ai seggi del Senato, nonché alle tensioni, ai distinguo e ai malumori della maggioranza alla vigilia della Finanziaria è giocoforza concludere che la vita del governo Prodi è sempre più precaria. L’«instabile stabilità» di cui parla D’Alema rischia d’essere solo una brillante immagine, insufficiente però a descrivere un quadro politico sempre più fragile.
Tuttavia le cose nella politica italiana non sono mai così semplici. Se lo fossero, il defilarsi di Lamberto Dini e di altri due senatori “liberaldemocratici” suonerebbe di per sé come l’epilogo di un esecutivo che a Palazzo Madama fatica a reggersi. Ma la realtà è più complicata. Bisogna insistere su un punto: Dini, da consumato esperto dei giochi di palazzo, ha fatto una mossa; diciamo che ha cominciato una partita di scacchi. Ma nessuno può dire come la concluderà. Possono sembrare astrusi questi arabeschi della politica italiana, nel momento in cui le piazze ribollono e il discredito si rovescia sul Parlamento. Ma tant’è.
Dini si è messo «in attesa». Ha indebolito Prodi, ha accresciuto il suo potere negoziale verso entrambi gli schieramenti. Ma non ha deciso dove dirigere la rotta del suo piccolo gruppo. Per ora sappiamo che non voterà la Finanziaria se il suo impianto sarà travolto dagli emendamenti dell’estrema sinistra. Ma questo non basta per consegnarlo senz’altro a Berlusconi. Sembra di capire che le intenzioni dell’ex premier siano meno banali. Certo sono piuttosto bizantine, ricche di chiaroscuri: peraltro in sintonia con un sistema istituzionale barocco che favorisce e di solito premia i personaggi «in bilico».
Non stupisce, del resto, che Berlusconi a parole si sia già annesso Dini (vedi il servizio di Augusto Minzolini sulla «Stampa» di ieri) ma ciò non significa che tale annessione risponda a verità. Il leader della Casa delle libertà ha tutto l’interesse, anche mediatico, a proclamare l’imminente vittoria dell’opposizione, nonché la rotta del centrosinistra: oggi Dini, domani Mastella. Tuttavia il trionfalismo è prematuro. Forse addirittura controproducente. La tendenza ad annunciare di continuo il crollo di Prodi e le elezioni anticipate può avere infatti l’effetto opposto: quello di indurre la coalizione di governo a serrare i ranghi per il timore della corsa al voto.
In definitiva, siamo solo all’inizio della partita a scacchi, non alla fine. Dini è stato abile perché ha anticipato con agilità gli altri «centristi» e si è ritagliato una posizione preziosa, tra l’altro di grande visibilità. Domani potrà negoziare il suo appoggio a Prodi e il suo eventuale reingresso nel Partito democratico. Il che significa ottenere più potere e numerosi posti in lista nelle prossime elezioni. Ma può anche voler dire un’altra alleanza, anche questa da valutare e contrattare.
Berlusconi è con tutta evidenza alla finestra, ma i tempi potrebbero non essere brevi. Del resto, non bisogna dimenticare che Dini fu protagonista nel ’95 di un lungo governo di transizione che ebbe l’effetto di logorare il centro-destra. E una delle ipotesi di cui si parla oggi è proprio un altro governo para-istituzionale, fondato su pochi punti cruciali (legge elettorale, interventi per l’economia…). Il che non significa che siamo già a questo punto. È vero però che i segnali sono piuttosto negativi per l’esecutivo in carica. Oggi con il voto sulla Rai avremo una prima verifica, tutt’altro che secondaria. In attesa della legge finanziaria.