La nuova guerra di Crimea

Acque sempre più agitate nell’Ucraina reduce dal crollo degli arancioni, e nuove grane per il già indebolito presidente filo-occidentale Yushenko. Stavolta i guai vengono proprio dal mare, dove un piccolo incidente locale si è trasformato in uno spinoso caso internazionale. Che l’altroieri ha visto entrare in campo persino la Duma russa: con una risoluzione votata all’unanimità che esprime «seria preoccupazione» per un eventuale ingresso dell’Ucraina nella Nato, che avrebbe «conseguenze molto negative» nei rapporti con la Russia. Tutto comincia a Feodosia, piccola cittadina balneare sulle coste incantate di Crimea, un nome che pare rubato alle Città invisibili di Calvino. «No alla Nato in Crimea, no all’occupazione Usa», gridano da due settimane gli abitanti tra picchetti, cortei e blocchi stradali. All’origine di tutto, lo sbarco in città di 249 marines per partecipare a Sea Breeze 2006, esercitazioni militari multinazionali che si tengono da qualche anno nel mar Nero. Quest’anno, novità, dovrebbero arrivare a Feodosia anche una nave anfibia, un aereo e un plotone della Guardia Nazionale, oltre a infrastrutture provvisorie per alloggiare i «visitatori». Giammai, dicono i manifestanti, che ora cercano di bloccare il porto: la presenza dei marines in Crimea è «illegale» perché non autorizzata dal Parlamento nazionale (Rada), benché prevista in un decreto firmato proprio da Yushenko, che tuttavia la Rada ha rigettato più volte. Un nuovo voto è stato rinviato al 14. Nel frattempo però, il cargo Usa attraccato a Feodosia il 27 maggio insieme agli yankee ha scaricato anche armamenti «provvisori» destinati alle esercitazioni. Lo ha confermato ieri, dopo aver negato per giorni, proprio l’ambasciata statunitense a Kiev.
Martedì il parlamento di Crimea – che è regione autonoma – in seduta straordinaria ha dichiarato la penisola «Nato-free», chiedendo di sospendere l’accesso al proprio territorio di truppe Usa e personale Nato, e cancellare le esercitazioni. Intanto i marines restano trincerati nell’hotel-sanatorio d’epoca sovietica, circondati dai manifestanti (cui si è unito il clero ortodosso con tanto d’icone e paramenti sacri) e dalla polizia. Sono arrivati anche i generali dell’Esercito ucraino, chiamati in soccorso dagli Usa, mentre altre regioni costiere si allineavano alla protesta anti-Nato. Si teme un intervento repressivo della polizia, che ha già incriminato decine di manifestanti per abuso di ordine pubblico.
Patata bollente per Kiev, dove a più di due mesi dalle elezioni non c’è ancora un governo. E dove Yushenko è sempre più in difficoltà, dopo la spaccatura del fronte arancione e il risorgere del filorusso Yanukovich. Ma l’incidente è anche spia di una crisi profonda tra centro e provincia. La Crimea è per tradizione storica una delle zone pro-russe d’Ucraina, ospita milioni di abitanti e turisti d’origine russa. Qui, a Sebastopoli, Mosca tiene ancora ormeggiata dopo il crollo dell’Urss la flotta del Mar Nero, il cui ritiro dal territorio ucraino (previsto per il 2017) è oggetto di interminabili negoziati con Kiev. Molti hanno paura che Sea Breeze faccia da cavallo di Troia all’ingresso effettivo della Nato in Ucraina, da sempre caldeggiato da Yushenko.
La costa ucraina si presenta inquieta anche più a est, sul mar d’Azov che segna il confine con la Russia, dove in questi giorni è riemerso il contenzioso tra i due paesi per la proprietà del piccolo ma strategico stretto di Kerch. Sempre a est, nelle province a maggioranza russofona di Kharkov e Luhansk e in città come Dnipropetrovsk e Nikolaiev, le autorità locali hanno deciso di ripristinare l’uso del russo come lingua ufficiale, accanto all’ucraino. Uso cancellato – con poca lungimiranza visti i gravi problemi burocratici che ne sono scaturiti – proprio dalla rivoluzione arancione.
Ora il Partito delle Regioni di Yanukovich cavalca la protesta di Feodosia, chiedendo le dimissioni del ministro della Difesa Gritsenko, mentre Mosca ventila ritorsioni economiche contro Kiev. E persino i socialisti di Moroz, alleati di Yushenko, minacciano di uscire dalla proposta coalizione di governo «arancione» che sbloccherebbe la crisi, se il presidente insisterà sull’opzione pro-Nato. Intanto, nel timore di cattivi influssi, si continua a rimandare la visita di Putin nel paese.

*Lettera 22