La nuova guerra con il sistema Usa

Alla domanda se avesse chiesto al governo italiano più truppe e forze speciali per l’Afghanistan, il segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer, così rispose lo scorso 10 giugno: «Se mi domandate se voglio più truppe forze speciali, dico: sì, certo». Nella polemica politica che ne seguì, il ministro della difesa Arturo Parisi assicurò, alla vigilia del voto sul rifinanziamento della missione, che «l’impegno dell’Italia in Afghanistan non cambia». E’ invece cambiato tutto (v. il manifesto, 10 agosto): è cambiata la struttura Isaf, cancellando la distinzione tra intervento nell’area di Kabul e intervento «fuori area», e il numero di militari è stato aumentato di 600, portandolo ufficialmente a 1.938. Ora Parisi ammette di aver rafforzato il contingente con truppe speciali. E, per tranquillizzare chi si allarma, portavoce della difesa aggiungono che «truppe speciali ci sono in ogni contingente, anche in Libano le abbiamo mandate».
Le «forze speciali», spiega lo Stato maggiore della difesa, sono impiegate in «operazioni dirette a conseguire obiettivi di natura militare, politica, economica o informativa in aree di difficile accessibilità o sensibili, spesso attraverso l’uso di tecniche e mezzi non convenzionali e in modalità occulta o clandestina» («Investire in sicurezza», ottobre 2005). Esse fanno parte integrante della ristrutturazione delle nostre forze armate che ricalca, anche nella terminologia, la strategia statunitense della «guerra preventiva».
Quali siano i nuovi compiti e la conseguente ristrutturazione delle nostre forze armate (mai discussi in quanto tali in parlamento) viene spiegato dal capo di stato maggiore della difesa, ammiraglio Giampaolo Di Paola, nel documento sopracitato e in un altro dell’aprile 2005 («Il concetto strategico del capo di stato maggiore della difesa»). Di fronte alla «minaccia globale del terrorismo» e alla «trasversatilità e imprevedibilità delle future minacce», occorre «sviluppare capacità di prevenzione e quando necessario di intervento efficace e tempestivo anche a grande distanza dalla madrepatria». Compito delle forze armate italiane è non solo la difesa della patria (art. 52 della Costituzione), ma soprattutto la «difesa degli interessi vitali del paese». Per tale ragione esse devono operare nelle «aree di interesse nazionale», ossia in quelle zone geografiche «nelle quali e verso le quali è possibile che l’autorità politica decida di intraprendere iniziative, anche di carattere militare, al fine di salvaguardare gli interessi del paese». Al primo posto vi sono le aree di «interesse strategico» che al momento comprendono, oltre a quelle Nato e Ue, Balcani, Europa orientale, Caucaso, Africa settentrionale, Corno d’Africa, vicino e medio Oriente e Golfo persico. A tal fine si sta creando uno «strumento proiettabile», dotato di spiccata capacità «expeditionary» coerente col «livello di ambizione nazionale». La prima capacità è quella della «proiezione dal mare». La forza da sbarco viene sperimentata per la prima volta nella missione in Libano, definita da Di Paola una «missione diversa» perché segna «l’esordio operativo della Forza nazionale di proiezione dal mare». Tale capacità verrà potenziata con la portaerei Cavour e con 12-13 caccia e fregate, che potranno effettuare anche un «attacco in profondità di obiettivi terrestri».
La capacità di proiezione del «potere aereo» si basa su una Expeditionary air task force ad alta prontezza operativa, dotata di 45-50 velivoli, in grado di contribuire a una operazione maggiore combat per 6 mesi. Queste forze di spedizione navali e aeree saranno dotate anche dei caccia statunitensi Jsf: nel 2002, lo stesso Di Paola (allora direttore nazionale degli armamenti) ha firmato al Pentagono un memorandum d’intesa impegnando l’Italia ad acquistarne oltre cento per l’ammontare di circa 8,5 miliardi di dollari più un miliardo per partecipare al programma di sviluppo. E’ prevista inoltre per la proiezione terrestre una expeditionary land task force. Tali forze sono affiancate da quelle speciali che, con «uso di tecniche e mezzi non convenzionali e in modalità occulta o clandestina», combattono la guerra che non si vede, nascosta anche al nostro parlamento. Tutto è lecito, però: si difendono gli «interessi vitali» nelle aree di «interesse strategico».