Le lotte dei movimenti popolari in Bolivia raccontate da uno dei loro leader
Le comunità indigene boliviane da anni stanno ottenendo successi, nella resistenza alle rapine operate dalle multinazionali, che danno speranza a tutta l’America Latina. Il sindaco della città «liberata» di Achacachi, Eugenio Rojas, parla dell’economia, della politica e delle aspirazioni degli Aymara
In Bolivia i movimenti popolari sono riusciti negli ultimi anni a cacciare due presidenti e a impedire la privatizzazione dell’acqua e del gas, sconfiggendo il potere delle multinazionali. Le repressioni ordinate ed organizzate direttamente dal governo statunitense sono state brutali, con centinaia di vittime, feriti e torturati: ma nonostante ciò i movimenti boliviani sono riusciti a resistere e a riorganizzarsi sino al punto da rappresentare una nuova speranza per tutta l’America Latina e non solo. Nei giorni scorsi abbiamo incontrato e intervistato uno dei principali leader di questi movimenti: Eugenio Rojas, sindaco di Achacachi, una città Aymara di circa 78 mila abitanti in cui viene applicata la giustizia comunitaria e che rappresenta il cuore della resistenza popolare in Bolivia.
Cosa rappresenta Achacachi per gli Aymara, e in generale nella resistenza dei popoli indigeni?
Achacachi è una provincia della regione di La Paz. È il centro del popolo Aymara, dove si organizzano movimenti sociali e si indirizzano l’ideologia e la politica indigena. Achacachi ha sempre resistito nel corso dei secoli contro l’invasione coloniale sino all’epoca della repubblica. I suoi leaders hanno sempre lottato per la difesa della terra, dei beni comuni, dei saperi locali, della filosofia e religione del mondo Aymara. Questa resistenza è stata spesso clandestina per proteggerci da ciò che veniva da fuori, che ha sempre cercato di annientare la nostra cosmogonia insieme ai nostri diritti. Molte volte abbiamo sofferto direttamente la repressione di chi voleva imporci con la forza il suo modo di pensare e di vivere. Ma in quasi tutti i casi questo non è avvenuto grazie alla nostra capacità di resistere e conservare quello che ci rende indigeni: la nostra educazione, la nostra religione, la nostra forma politica, la nostra maniera di pensare e di vivere.
Negli ultimi quindici anni avete vissuto all’interno dei meccanismi della democrazia rappresentativa. Come sono cambiate le cose?
Oggi c’è più povertà e le attuali politiche economiche riproducono attraverso lo stato l’impianto dell’ideologia neoliberista. Le privatizzazioni hanno prodotto un aumento della disoccupazione e la perdita di molte delle economie contadine e rurali che ancora esistevano. La nostra stessa sopravvivenza viene minacciata con il saccheggio dei beni comuni. Ci hanno fatto credere per vent’anni che la democrazia rappresentativa avrebbe portato prosperità e benessere. Invece la situazione è degenerata al punto che oggi la Bolivia è il paese più povere dell’America Latina nonostante le sue immense ricchezze energetiche. La discriminazione verso gli indigeni è aumentata ed è in atto un tentativo di genocidio culturale del nostro popolo. Ci siamo resi conto che questa forma di democrazia è un ulteriore inganno in cui si egemonizza il potere a favore degli interessi delle grandi transnazionali occidentali che utilizzano le oligarchie locali per portare avanti i loro piani. Per questo non crediamo in questa democrazia. Oggi in Bolivia ci sono due società distinte e molto definite che non potranno mai incontrarsi: la Bolivia impoverita ed emarginata, e la Bolivia che domina e che svende le sue fortune ed il futuro dei nostri figli.
Ad Achacachi voi applicate la giustizia comunitaria. Che significa per un Aymara?
Noi non crediamo nelle leggi boliviane. Ci sono state imposte nel tentativo di distruggere quello che siamo. La giustizia boliviana è per quelli che hanno i soldi. Per noi la giustizia comunitaria è l’alternativa che recuperando la nostra cultura ci permette di giudicare in maniera sana coloro che commettono errori o recano danno alla collettività. Se qualcuno sbaglia, è compito di tutta la comunità e delle autorità tradizionali correggere l’errore. Da qui nasce la nostra morale. Se qualcuno sbaglia, dobbiamo aiutarlo a trovare la maniera per riparare al proprio errore. Il problema di uno è il problema di tutta la comunità e non lo si risolve con il carcere o con le multe.
Ad Achacachi non esistono carcere, né polizia…
Non ci sono prigioni perché l’Aymara non conosce il carcere. Il carcere è molto più duro della tortura per noi. Separare una persona dal suo gruppo non è concepibile nella nazione Aymara. In più, il carcere e la polizia sono forme di controllo della politica neoliberista che noi non riconosciamo. Per questo abbiamo espulso dal 2001 la polizia, le carceri e le vecchie autorità. Il nostro è un territorio libero dove la giustizia comunitaria amministra i problemi.
Negli ultimi cinque anni il movimento boliviano ha vinto molte battaglie. Tu sei uno dei principali leader del paese: che cosa si è veramente ottenuto in questi anni?
In realtà nonostante tutto ciò che abbiamo fatto, si è ottenuto ben poco. Non è stata una vittoria contro le destre ma più che altro un fallimento del sistema neoliberista. Sicuramente è un gran passo avanti, però i nostri interessi, le nostre rivendicazioni per la terra, il territorio, le risorse naturali, la democrazia partecipativa non sono state soddisfatte. Siamo stati capaci di disarticolare anche i vecchi partiti, ma i principali problemi non sono stati risolti. Soltanto rimandati.
Il prossimo 4 dicembre si voterà per eleggere presidente, parlamento e prefetti. Cosa vi aspettate?
La base dei movimenti, le comunità, la società civile sperano che il prossimo governo prenda sul serio l’agenda dell’ottobre 2003, quando durante la «guerra del gas» l’intero paese ha chiesto la nazionalizzazione degli idrocarburi e la creazione di un’Assemblea costituente che affronti finalmente il problema della partecipazione degli indigeni e delle comunità di base nel governo. Però sappiamo che queste questioni non saranno mai risolte all’interno dello schema attuale della rappresentanza e del potere. Alle elezioni ci sarà anche il Mas (Movimiento al socialismo) che in passato non è stato al governo, però sappiamo che se ci vuole entrare non può permettersi di lottare per le questioni che per noi sono centrali.
Considera l’enorme errore commesso lo scorso anno quando Evo Morales ha deciso non solo di appoggiare il referendum sugli idrocarburi ma addirittura di scrivere tre delle cinque domande. L’alleanza fra Carlos Mesa ed Evo Morales è stata terribile. Gli esiti del referendum e le azioni successive del governo ci hanno dato ragione: era l’ennesimo inganno orchestrato dagli avvocati e dai giuristi delle multinazionali per ingannare il paese e continuare a far salvi i vecchi contratti che garantivano il gas a prezzi ridicoli alle multinazionali senza dare ai boliviani la possibilità reale di industrializzare e commercializzare le proprie risorse. A distanza di diversi mesi e dopo aver tentato di frenare le mobilitazioni popolari, il Mas è ritornato a parlare di nazionalizzazione degli idrocarburi. Se Evo vuole diventare presidente dovrà farlo all’interno della logica delle democrazie occidentali e dovrà allearsi con organizzazioni che non gli consentiranno mai di metter mano ai principali problemi del paese. Per questo non crediamo che la risoluzione dei nostri problemi passi per la via elettorale. Noi continueremo ad organizzarci da tutti i punti di vista e subito dopo le elezioni torneremo a chiedere al governo di turno di rispettare la volontà popolare dell’ottobre 2003, per la quale molti di noi sono stati uccisi. In questa fase crediamo che le mobilitazioni siano l’unica maniera per mettere in discussione l’ordine costitutito.
Sei stato all’assemblea delle Nazioni unite sui popoli indigeni, adesso sei in Italia e poi andrai in Spagna per promuovere una «carovana internazionale» per il prossimo ottobre. Di che si tratta?
In questi anni ci siamo resi conto che l’origine dei problemi in tutto il mondo è la stessa: le attuali politiche economiche neoliberiste. Crediamo che sia necessario organizzare un grande incontro per celebrare nei giorni di ottobre coloro che sono caduti per difendere i nostri diritti e quelli delle future generazioni, ma non solo. Siamo convinti della necessità di elaborare un Manifesto da parte di tutti i gruppi che lottano dal basso per la difesa dei beni comuni e per l’autodeterminazione dei popoli indigeni, come gli zapatisti in Messico, i Piqueteros in Argentina, i Sem Terra del Brasile o quelli che da voi si battono su temi analoghi. Nei giorni della «scoperta» dell’America vogliamo far vedere al mondo che c’ è un’altra Bolivia, un’altra America Latina, un altro mondo possibile. E vogliamo far capire che a prescindere dalle elezioni, i movimenti continueranno dovunque a lottare e, se necessario, a morire per difendere quello che ci è stato lasciato dai nostri padri. Questa volta non accetteremo né che la nostra ricchezza se ne vada nelle tasche delle multinazionali, né di essere massacrati come nei giorni di ottobre, in cui si sparava ad altezza uomo per fare più morti possibile.
Hai detto che un Aymara innanzitutto si caratterizza per l’amore verso gli altri esseri umani e per la natura, che un Aymara non impone mai il proprio pensiero ma è abituato a domandare, a chiedere agli altri.
Questo è il senso della nostra religione. Noi non amiamo Dio sopra ogni cosa, ma amiamo gli esseri umani e tutto ciò che lui ha creato nella stessa maniera. In questo senso intendiamo il condividere la vita con gli altri esseri umani e con la natura. Per questo noi parliamo con la Pachamama (la madre terra). Per noi viene anzitutto il rispetto per tutto ciò che Dio ha creato. Noi siamo parte di questa Terra e non possiamo distruggerla. Sfortunatamente il neoliberismo è il principale nemico della Pachamama e la vede semplicemente come qualcosa da cui ricavare profitto. D’altro canto un Aymara non può decidere da solo. In ogni casa prima di decidere noi diciamo «chiederò all’anziano». E ogni autorità a sua volta deve consultare la base. Nessuno può decidere da solo ciò che riguarda anche gli altri. Per noi essere autorità significa prestare un servizio alla comunità: questa è la nostra maniera di vedere la politica. Inoltre nella filosofia e nella lingua Aymara non esiste l’«individuale». Per noi uno solo non è una persona, ma io, tu e lui, facciamo un corpo. Per esempio noi non diciamo «prestami i soldi» ma «prestiamoci i soldi». In questo senso pratichiamo la proprietà comunale o la proprietà collettiva come direste voi. La nostra cultura e la nostra maniera di pensare rappresentano un’alternativa alla globalizzazione neoliberista, all’imperialismo ed alla distruzione degli esseri umani e della natura. E questo vorremmo che venisse conosciuto da tutti quei fratelli e quelle sorelle che nel mondo si battano per gli stessi ideali: Mayaki.
Che vuol dire Mayaki?
Siamo una sola cosa!