La Nato, decisa a riconoscere il diritto all’indipendenza delle popolazioni di origine albanese del Kosovo ma non quello, analogo, della minoranza serba, sta scaldando i motori dei suoi tank e dei suoi aerei per impedire che quest’ultima, concentrata ormai nella parte settentrionale della provincia, si rifiuti di far parte del nuovo stato albanese e realizzi il progetto di rimanere all’interno della Serbia. Per impedire ciò l’Alleanza Atlantica ha deciso di riaprire una vecchia base militare nel nord, nelle zone serbe, e di rafforzare il contingente, adesso di circa 17.000 uomini, in modo da poter stroncare sul nascere qualsiasi rivolta dei 100.000 serbi e rom sopravvissuti alla pulizia etnica provocata dalla guerra del 1999 e dai successivi pogrom albanesi che portarono alla fuga di almeno 250.000 kosovari di origine serba e rom.
La tragedia che si sta preparando in Kosovo, nel silenzio complice dei governi interessati a cominciare da quello italiano – che giustificò a suo tempo la guerra con la «necessità di far tornare i profughi in sicurezza nelle loro case» e che ora si appresta invece a favorire un nuovo drammatico esodo altrettando se non più drammatico – potrebbe verificarsi tra questa estate e la fine dell’anno quando dovrebbe essere annunciata l’indipendenza del Kosovo nella sua interezza, comprese le aree a maggioranza serba. A quel punto le popolazioni serbe non potranno che ribellarsi a questa imposizione – e alla prospettiva di perdere la vita o accettare di essere cittadini di serie c – e verranno represse brutalmente dalle forze della Nato. Le bombe dell’Alleanza e i pogrom albanesi faranno il resto e il mondo assisterà ad una nuova e definitiva «pulizia etnica». In vista di questo scenario l’Onu si è già messe all’opera. L’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (UNCHR) ha ammesso ieri l’esistenza di un piano per l’evacuazione di 70 mila serbi dal Kosovo, da metter in atto se, come si prevede, la regione – dal 1999 amministrata dall’Onu – otterrà l’indipendenza. Sandra Mitchell, funzionario della missione delle Nazioni Unite in Kosovo (Unmik), ha dichiarato al quotidiano di Belgrado «Vecernje Novosti» che non ci sarebbe nulla di straordinario in questo, poiché «simili piani vengono predisposti ovunque siano in corso processi politici con possibili incidenti che potrebbero ripercuotersi sulla dislocazione della popolazione».