La mutazione genetica dell’Alleanza atlantica

Snobbata come esercito pronto all’uso nella campagna in Afghanistan, la Nato si trasforma. Da strumento militare preferenziale a strumento politico armato, il patto arruola alleati che pagano il biglietto con acquisti bellici miliardari. La parola chiave (anche qui) è flessibilità. Ma il Capo resta il Capo, anche se ha altro da fare: è Bush in persona a nominare il comandante supremo

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«La Nato ha urgente bisogno di essere rivitalizzata, è in gioco la sua credibilità», scrive sull’ultimo numero di Nato Review il generale tedesco Klaus Naumann, già presidente del Comitato militare al tempo dei bombardamenti «umanitari» sulla Jugoslavia, dando voce ai malumori che circolano tra gli alleati europei. L’operazione sotto comando statunitense in Afghanistan ha evidenziato «un calo di capacità dell’Alleanza e la mancanza di un suo chiaro ruolo»: dopo l’11 settembre essa si era impegnata in modo compatto a difendere gli Stati uniti, in base all’art. 5 del nuovo Trattato di Washington, «senza porre limiti geografici alla sua azione, in quanto la Nato è divenuta de facto una alleanza globale». Ma quando gli Usa hanno lanciato l’operazione in Afghanistan vi hanno partecipato solo alcuni alleati a titolo individuale, mentre la Nato non è stata in grado di offrire qualcosa di più dell’appoggio politico, «né l’amministrazione Usa lo ha chiesto, lasciando intendere di non aver bisogno della Nato o di non desiderare un suo impiego». La sconfortante conclusione di Naumann è che «gli Stati uniti, il più potente e indispensabile membro, non considerano più la Nato quale strumento militare preferenziale da usare in guerra, ma semplicemente un utile strumento politico». Propone quindi che all’ordine del giorno del summit, in programma a Praga il 21-22 novembre, ci sia non solo l’allargamento ma la trasformazione della Nato, a cui gli alleati europei dovranno contribuire colmando il divario di capacità militare nei confronti degli Stati uniti. Per Washington è invece prioritaria – dopo l’ingresso di Polonia, Repubblica ceca e Ungheria nel 1999 – l’ulteriore espansione a est della Nato, attraverso cui essi legano i nuovi membri non tanto all’Alleanza, quanto direttamente agli Stati uniti.

I governi dei dieci paesi candidati – Lituania, Estonia Lettonia (le prime repubbliche dell’ex-Urss che la Nato ingloberà nel suo allargamento ad est), Slovenia, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Albania, Macedonia e Croazia – fanno a gara per guadagnarsi i favori di Washington, acquistando dagli Stati uniti costosissimi sistemi d’arma (per i quali si indebitano) e mettendo a loro disposizione basi e forze. Ad esempio, Lituania ed Estonia hanno acquistato dalla Lockheed Martin un sofisticato sistema radar tridimensionale a lunga distanza (Tps 117) che sarà collegato, oltre che col quartier generale Nato, con il Pentagono. Lo stesso intende fare la Romania, che ha messo a disposizione degli Usa il proprio spazio aereo per la guerra in Afghanistan, e la base di Costanza, attraverso cui il Pentagono effettua la rotazione delle truppe nei Balcani. La Bulgaria ha messo a disposizione la base di Burgas, già usata dall’aviazione Usa per la guerra nei Balcani e in Afghanistan, idonea e pronta anche per un attacco all’Iraq. L’Estonia sta inviando in Afghanistan, sotto comando statunitense, unità militari e, insieme agli altri due paesi baltici, intende mandarle anche in Kyrghizistan. Perfino l’Albania ha inviato un micro-contingente in Afghanistan. A costi tragici: la Repubblica Ceca ha dovuto decidere di sospendere l’acquisto di 24 moderni cacciabombardieri per adeguarsi agli standard atlantici, a causa del disastro economico provocato dall’alluvione.

Il generale Naumann può dunque stare tranquillo: gli Stati uniti intendono ancora usare la Nato quale strumento militare oltre che politico, come hanno fatto nella guerra contro la Jugoslavia, ma solo quando politicamente gli conviene. In Afghanistan la Nato non l’hanno voluta per essere loro soli (coadiuvati dal fedele alleato britannico) a condurre l’operazione che mira al controllo strategico dell’Asia centrale. Hanno bisogno a tal fine di un’Alleanza flessibile: per questo la stanno rivitalizzando, immettendovi nuovi alleati particolarmente obbedienti. Intanto il sistema di consultazioni con la Russia resta solo nella scenografia prevista dal recente vertice berlusconiano di Roma: l’allargamento a est ha infatti sempre più la natura di uno scontro aperto con Mosca, insistendo ormai su aree di crisi, come la Georgia e l’Ucraina, vitali per gli interessi strategici russi.

Ciò consolida nell’Alleanza atlantica la supremazia Usa, confermata dalla nomina del nuovo Comandante supremo alleato in Europa (Saceur). Come si legge nel comunicato del Pentagono (19 luglio 2002), «il presidente George W. Bush ha scelto il gen. James L. Jones, comandante del corpo dei marines, quale successore del gen. Joseph W. Ralston dell’aeronautica nella carica di comandante supremo alleato in Europa». E’ dunque il presidente degli Stati uniti, per diritto sovrano, a fare la scelta, e non la Nato, che si limita a ratificarla. Non solo. Nello stesso comunicato si annuncia che «il presidente Bush ha anche nominato Jones comandante in capo del Comando europeo degli Stati uniti (Useucom), la cui area di responsabilità copre oltre 13 milioni di miglia quadrate (33 milioni di km quadrati), comprendenti 91 paesi e territori», dall’Europa all’ex Urss, dalla Groenlandia all’Africa. Lo stesso Useucom precisa che il proprio comandante supremo «svolge anche l’incarico di comandante supremo alleato in Europa»: chiarisce così che, anche in questo secondo incarico, egli continua a far parte della catena di comando statunitense che ha la priorità su quella della Nato. Fra le tante «minacce asimmetriche» paventate dal Pentagono, ecco un bell’esempio di alleanza asimmetrica.