«La morte, la nostra ultima libertà»

Detenuti in sciopero della fame a Guantanamo da 57 giorni: legati ai letti, nutriti a forza. La denuncia di un avvocato
Bugie e manipolazioni Rumsfeld mente e i militari censurano l’informazione o trasformano il suicidio in «comportamento auto lesivo»

«Sto morendo lentamente in solitudine dentro questa cella di carcere», dice Omar Deghayes, rifugiato britannico e prigioniero a Guantanamo. «Non ho diritti, non ho speranze. E allora, perché non prendere il destino nelle mie mani, e morire per un principio?». Oggi è il 57esimo giorno di sciopero della fame dei prigionieri di Guantanamo. Nel 1981, presso Belfast, Bobby Sands e altre nove membri dell’Ira digiunarono fino a morire. I prigionieri insistevano nell’affermare che dovevano essere trattati come prigionieri di guerra e non come criminali. Morirono prima che il governo britannico accettasse di riconoscere che i suoi tribunali illegali e la sua politica di criminalizzazione non solo tradiva i principi democratici, ma funzionava come il più persusasivo metodo di reclutamento che l’Ira mai avesse avuto. Come si dimenticano presto certe lezioni. Tre anni e mezzo di internamento a Guantanamo e ogni pretesa degli Usa di essere il vessillifero della legalità è dissolta. Ma ci sono due importanti differenze tra l’esperienza di Sands e Omar Deghayes: i militari Usa hanno insistito sulla segretezza riguardo a Guantanamo, e i media Usa si sono resi complici con la loro apatia. Nonostante la tradizionale ostilità britannica alla libertà di parola, ogni momento dell’agonia di Sands fu trasmesso in diretta. Al contrario, nulla di quel che noi avvocati apprendiamo dai nostri clienti chiusi a Guantanamo può essere rivelato finché non passa per i censori governativi. Così, sono passate due settimane prima che l’opinione pubblica sapesse che era in corso uno sciopero della fame, e da allora ai militari è stato consentito di nascondere i particolari.

Fin dall’inizio Guantanamo ha contato su una comunicazione militare distorta e piena di mezze verità. Nel 2002 si diffuse la preoccupazione per il numero dei detenuti che cercavano di uccidersi. I militari annunciarono che i tentivi di suicidio erano radicalmente diminuiti. Ci volle un giornalista straniero per far uscire la verità. Le autorità avevano sostituito la parola «suicidio» con «Comportamento auto-lesivo manipolatorio» (Manipulative Self-Injurious Behaviour – Sib) – e si erano verificati molti Sib. I militari mentivano manipolando le parole.

Una ipocrisia simile è in atto riguardo allo sciopero della fame iniziato il 28 giugno. Era stato sospeso il 28 luglio, dopo le promesse fatte dai militari, terrorizzati dalla prospettiva di avere sei prigionieri ricoverati in ospedale e ormai a 48 ore dalla morte. Lo sciopero era ripreso l’11 agosto, quando i detenuti erano giunti alla conclusione che le promesse non erano state mantenute.

Il segretario alla difesa Rumsfeld aveva insistito che i prigionieri di Guantanamo fossero trattati in modo «conforme» alla Convenzione di Ginevra. Per mettere fine al loro digiuno i prigionieri chiedono di essere trattati in modo «conforme alla Convenzione di Ginevra». Se Rumsfeld dice la verità, perché i detenuti doverbbero digiunare fino alla morte?

La Convenzione stabilisce che, a meno che non siano accusati di un crimine, «i prigionieri di guerra non devono essere tenuti in isolamento». Nel Campo V, si viene rinchiusi in una cella singola, ermeticamente chiusa a ogni contatto umano, con la possibilità di uscire per un’ora a settimana. Tra i prigionieri, ci sono minorenni e anche Sami Al Laithi, in sedia a rotelle, trattenuto per più di quattro dopo essere stato giudicato innocente persino dai tribunali militari Usa (Laithi è stato poi rispedito in Egitto, ndr). La Convenzione proibisce interrogatori coercitivi. I prigionieri hanno ragionevolmente protestato quando il 5 agosto Hisham Sliti si è visto tirare addosso un mini frigorifero da un inquisitore soprannominato King Kong. La Convenzione garantisce la libertà di esercizio religioso. Perché allora, chiedono i detenuti, da tre anni non è loro consentito di incontrare un imam? Perché la preghiera collettiva viene limitata? E perché un prigioniero yemenita è stato di recente picchiato e il suo Corano calpestato per aver chiesto di finire le preghiere prima di rispondere alle domande di un secondino?

La conclusione è inevitabile: i detenuti avanzano una serie di giuste lagnanze, e Rumsfeld non dice la verità.

I governi hanno appreso una lezione da Bobby Sands: egli è famoso perché è morto. I militari Usa sono decisi a non permettere ai propri prigionieri di fare quest’ultima, tragica dichiarazione politica. Così l’esercito ammette di nutrire a forza i prigionieri. Di recente i suoi compiacenti dottori hanno cambiato la frase in «nutrizione assistita», un altro tentativo di nascondere la verità su quanto sta accadendo. Durante lo sciopero di luglio, i prigionieri hanno strappato via dalle braccia gli aghi delle flebo, e ora i militari usano tubi nasali. Assicurano che nessuna delle 21 persone ricoverate nell’ospedale di Guantanamo sarà in grado di uccidersi. Qualcuno determinato a digiunare potrebbe facilmente rimuovere il tubo, se solo avesse la libertà di muoversi. Così possiamo immaginare una fila di 21 letti di ospedale, ciascuno con un prigioniero legato, immobile, probabilmente sedato. Nulla che possa evocare una «nutrizione assistita».

Privati di diritti legali, i detenuti di Guantanamo possono fare affidamento per la propria difesa solo sulla vigilanza dell’opinione pubblica. Questo è vero anche per i detenuti in Iraq, dove gli Usa dicono di essere impegnati al rispetto di Ginevra ma dove di recente alcuni soldati interrogati da Human Rights Watch hanno descritto umiliazioni sistematiche e torture, incoraggiate dagli alti gradi militari.

L’unica soluzione duratura per gli Usa è praticare quel che predicano, invece di nascondere la loro ipocrisia dietro una cortina di fumo di segretezza e manipolazioni verbali. Il rispetto dei diritti umani è la più efficace misura anti terrorismo che il governo Usa possa prendere, e in fondo i suoi vertici lo hanno sempre saputo. Gli Stati uniti hanno firmato la Convenzione di Ginevra più di 50 anni fa. Di sicuro Donald Rumsfeld ha avuto tempo abbastanza per capire come applicarla.

* Responsabile legale di Reprieve (www.reprieve.org.uk). Da The Nation