La morte esterna

Prima che il contingente italiano in Iraq s’impantani in quella che somiglia sempre più alla palude vietnamita in cui sprofondarono le truppe statunitensi, occorre ritirarlo e al più presto. Ma è ora di affrontare il nodo del «Nuovo modello di difesa». L’invio di truppe italiane in Iraq è infatti solo l’ultimo passo di una escalation interventista, iniziata oltre dieci anni fa. Nel 1991, con il governo Andreotti, la Repubblica italiana combatte la sua prima guerra, partecipando all’operazione «Tempesta del deserto» lanciata dagli Usa in Iraq. Sette mesi dopo la guerra, in ottobre, il ministero della difesa pubblica il rapporto Modello di difesa / Lineamenti di sviluppo delle FF.AA. negli anni `90. E’ l’inizio della mutazione genetica delle forze armate: il loro compito, secondo il rapporto, non è più solo la difesa della patria (art. 52 della Costituzione), ma la «tutela degli interessi nazionali ovunque sia necessario». Viene così enunciata una nuova politica militare e contestualmente una nuova politica estera, con funzioni contrarie a quelle stabilite dalla Costituzione. Una volta varato, il «Nuovo modello di difesa» passa da un governo all’altro, dalla prima alla seconda repubblica, senza mai essere discusso in quanto tale in parlamento. A elaborarlo e applicarlo sono i vertici delle forze armate, ai quali i governi lasciano piena libertà decisionale, pur trattandosi di una materia di basilare importanza politica per la Repubblica italiana.

Nel 1993 – mentre l’Italia partecipa all’operazione militare lanciata dagli Usa in Somalia, e al governo Amato subentra quello Ciampi – lo stato maggiore della difesa dichiara che «occorre essere pronti a proiettarsi a lungo raggio» per difendere ovunque gli «interessi vitali», al fine di «garantire il progresso e il benessere nazionale mantenendo la disponibilità delle fonti e vie di rifornimento dei prodotti energetici e strategici» (Stato maggiore della difesa, Aggiornamento del modello di difesa, 1993).

Nel 1995, durante il governo Dini, lo stato maggiore della difesa fa un ulteriore passo avanti, affermando che «la funzione delle forze armate trascende lo stretto ambito militare per assurgere anche a misura dello status e del ruolo del paese nel contesto internazionale» (Stato maggiore della difesa, Modello di difesa, 1995). Nel 1996, durante il governo Prodi, tale concetto viene ulteriormente sviluppato nella 47a sessione del Centro alti studi della difesa. «La politica della difesa – afferma il generale Angioni – diventa uno strumento della politica della sicurezza e, quindi, della politica estera». (Informazioni della Difesa, suppl. al n. 4 1996).

Nel 1999 – dopo che il governo D’Alema ha fatto partecipare l’Italia, sotto il comando Usa, alla guerra contro la Jugoslavia – la marina militare annuncia che l’Italia, affermatasi quale «media potenza regionale», ha «un crescente e solido ruolo geostrategico nel “Mediterraneo allargato”: spazio geopolitico comprendente, oltre al Mar Nero, anche le vie meridionali di accesso al Canale di Suez e cioè il Mar Rosso fino allo Stretto di Bab el-Màndeb e, più oltre, il Golfo Persico che, attraverso lo Stretto di Hormuz, è intimamente collegato al sistema mediterraneo di rifornimenti energetici» (Marina militare italiana, Rapporto 1999). Su questa scia, dopo l’11 settembre, il governo Berlusconi invia le nostre truppe prima in Afghanistan e quindi di nuovo in Iraq.

Ciò che va messo in discussione, quindi, non è solo quest’ultima decisione, ma l’intero quadro della politica militare e della politica estera.