“La missione resta com’è”

Il ministro della difesa, Arturo Parisi, è atterrato ieri mattina a Kabul per una visita di due giorni al contingente militare italiano in Afghanistan. Nel paese dove i taleban hanno scatenato un’offensiva contro le truppe straniere proprio alla vigilia dell’espansione a sud del contingente dell’Isaf (l’esercito multinazionale della Nato di cui fanno parte anche 1.360 soldati italiani) Parisi ha sostanzialmente frenato sulle ipotesi, circolate nei giorni scorsi, di un aumento dell’impegno militare che vada al di là dei 960 militari che prestano servizio nella capitale e i 400 del Provincial and reconstruction team (Prt) di Herat. «L’Italia non farà mancare il suo contributo: politico, militare, diplomatico, economico e civile» ha detto il ministro rivolgendosi ai militari a Camp Invicta, il quartier generale italiano della missione Isaf. Poi però ha precisato che, anzitutto, non è previsto alcun impiego dei soldati al sud – dove da fine luglio la Nato dovrà vedersela con una guerriglia sempre più agguerrita. «Sono punti che noi stiamo considerando – ha dichiarato Parisi -, ma al momento non consideriamo un impegno su questo fronte». L’esponente prodiano della Margherita è stato prudente anche sulla possibilità di un aumento delle truppe. Certo mentre parlava, il ministro degli esteri D’Alema doveva ancora incontrare a Washington la sua omologa Condoleezza Rice, così Parisi se l’è cavata con: «La nostra azione si svolgerà nella continuità. Questo non comporta una revisione delle modalità e dell’entità dell’impegno, ma certamente della determinazione». «In termini numerici – ha continuato l’ex allievo della scuola militare della Nunziatella – noi al momento non siamo in grado di dire se e quanti saranno in più. Pensiamo di svolgere però la nostra azione nel segno della continuità e della condivisione». Nei giorni scorsi si era parlato insistentemente della possibilità di spedire a Kabul una cinquantina di truppe speciali. E per quanto riguarda l’invio dei caccia bombardieri Amx «sono questioni di dettaglio, perché è a partire dalle richieste che ci saranno rivolte dall’Alleanza che noi valuteremo sia il quanto, sia il come, sia anche le eventuali modalità di impiego». Oltre all’ex re afghano Zahir Shah, Parisi ha incontrato Gino Strada. Dal fondatore di Emergency si è sentito dire che «gli afgani si aspettavano di più dalla coalizione e qualcosa di diverso». Per Strada con la metà dei soldi che sono stati spesi in Iraq e Afghanistan a Kabul si sarebbero potuti costruire 300 ospedali. «Qui ci sono moltissime cose da fare, sul versante sanitario. Nel nostro ospedale ci sono gli unici sei posti letto di terapia intensiva per tutto il paese: sei posti per oltre 25 milioni di abitanti». «Pensiamo ai soldi che sono stati spesi per la guerra in Iraq e in Afghanistan. Poniamo cento milioni di euro al mese. Con la metà, 50 milioni al mese, in Afghanistan si sarebbero potuti fare 300 ospedali, 5 mila scuole e 3 mila edifici di servizi sociali per vedove, orfani, bambini».