Per partecipare al contingente Onu in Libano «l’Italia desidera un mandato chiaro e privo di ambiguità»: lo ha detto Prodi parlando al telefono con Bush. Trascurando però un aspetto: una missione, anche quando nasce in base a un chiaro mandato, può cambiare natura. E’ quanto avvenuto alla missione italiana in Afghanistan.
La costituzione dell’Isaf (Forza internazionale di assistenza alla sicurezza), cui partecipò subito anche l’Italia, era stata autorizzata dal Consiglio di sicurezza dell’Onu con la risoluzione 1386 del 20 dicembre 2001. Suo compito era quello di «assistere l’autorità ad interim afghana nel mantenimento della sicurezza a Kabul e dintorni». Fino all’agosto 2003 l’Isaf è rimasta fondamentalmente una missione Onu. Ma il 16 aprile 2003 il Consiglio nord-atlantico ha deciso «lo spiegamento di truppe Nato in Afghanistan per operare sotto mandato Isaf». Quindi, l’11 agosto, la Nato ha «assunto il ruolo di leadership dell’Isaf, forza con mandato Onu», senza aver ricevuto in tal senso alcun mandato. Solo successivamente il Consiglio di sicurezza ha «riconosciuto» il fatto compiuto. Da questo momento l’Isaf viene inserita nella catena di comando della Nato, al cui vertice è il «comandante supremo alleato», che per diritto ereditario è sempre un generale statunitense. Tre anni dopo avviene una ulteriore mutazione genetica: le forze Nato, etichettate Isaf, sostituiscono il 31 luglio 2006 quelle Usa sul fronte meridionale e, contestualmente, la Brigata multinazionale Kabul, di cui fanno parte le forze italiane assume, il 6 agosto, la denominazione di «Regional command capital» (Comando regionale della capitale). «La nuova struttura basata su comandi regionali – spiega la Nato – è più appropriata alla missione Isaf che ora copre l’87% dell’Afghanistan». Le forze italiane entrano quindi automaticamente a far parte parte di un’unica struttura militare, le cui regole d’ingaggio sono «le più dure mai stabilite dalla Nato» e, contrariamente a quanto promesso a luglio dal governo, vengono aumentate di 600 unità portandole a circa 2mila uomini.
Qualcosa di analogo potrebbe avvenire per la missione in Libano. Il contingente italiano andrebbe a far parte dell’Unifil (United Nations Interim Forces in Lebanon), nel cui quadro opera dal 1979 uno squadrone elicotteri. Con la risoluzione 1701 dell’11 agosto 2006, il Consiglio di sicurezza dell’Onu autorizza l’aumento dell’Unifil a un massimo di 15mila uomini. Non chiarisce però una questione nodale: quale sarà il comando di questa forza potenziata? Secondo l’art. VII della Carta delle Nazioni unite, l’impiego delle forze armate messe a disposizione da membri dell’Onu per tali missioni deve essere stabilito dal Consiglio di sicurezza coadiuvato dal Comitato di stato maggiore, composto dai capi di stato maggiore dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Nella risoluzione 1701 non c’è invece alcun riferimento al Comitato di stato maggiore. Un comando unificato però occorrerà. Vi è quindi la possibilità che, anche in questo caso come in Afghanistan, sia la Nato, indirettamente o direttamente, a esercitare il comando. Sarebbe quindi di nuovo il «comandante supremo alleato in Europa», inserito nella catena di comando del Pentagono, a decidere quali azioni dovrà fare la forza Unifil.
Poiché la risoluzione 1701 richiede «il disarmo di tutti i gruppi armati in Libano», compito della Unifil sarebbe quello di disarmare la milizia hezbollah, ossia la principale forza della resistenza all’aggressione israeliana. La situazione potrebbe divenire, quindi, più complessa di quella in Afghanistan. A differenza dei taleban, gli hezbollah godono in Libano di un vasto consenso popolare, sia per la rete di assistenza che hanno creato a favore dei settori più disagiati, sia per il modo in cui hanno combattuto. Che cosa avverrà se, in base ad accordi nel governo libanese, la milizia hezbollah sarà integrata nelle forze armate nazionali? Cosa avverrà se gli hezbollah accresceranno la loro presenza nel parlamento e nel governo libanesi? Cosa avverrà se – lo già preannunciato – il governo israeliano cercherà comunque di colpire i leader hezbollah?