Mentre nel sud dell’Afghanistan continua la guerra tra talebani e truppe d’occupazione Usa e Nato (quasi 1.400 morti negli ultimi cinque mesi) il nuovo comandante della missione Isaf, il generale britannico David Richards, tiene una conferenza stampa a Kabul, ma non per spiegare al mondo che la Nato in Afghanistan è in guerra (ufficialmente da luglio, quando prenderà dagli Usa il comando delle operazioni nel sud) o per parlare del conseguente “irrobustimento” delle regole d’ingaggio della missione, tenute segrete dai comandi Isaf. Nulla di tutto questo. Il generale Richards ha convocato i giornalisti per annunciare che i soldati della Nato saranno più “people-friendly”, più carini verso la popolazione civile di quanto non siano stati in questi anni i soldati Usa. Ha promesso che cercheranno di guidare più lentamente per evitare incidenti come quello che ha scatenato la rivolta di Kabul, di evitare di stragi di civili come quella del 22 maggio ad Azizi (34 morti) e di astenersi dai rudi rastrellamenti dei villaggi (porte abbattute, violenze, abusi sulle donne). Un’ottima notizia, almeno nelle intenzioni, che però non affronta l’argomento-tabù del cambiamento della natura della missione Isaf-Nato in Afghanistan da missione di pace a missione di guerra. Una missione cui l’Italia partecipa con quasi duemila soldati. Abbiamo chiesto un commento al generale Fabio Mini, ex comandante della missione Nato-Kfor in Kosovo.
Scritto per noi dal
Gen. Fabio Mini*
Formalmente non c’è stato alcun cambiamento alla missione del contingente italiano. Ma è vero che Isaf (che è una missione della Nato e non italiana) espanderà la propria area di responsabilità anche alle aree del sud e sudest che finora erano di competenza degli americani. In tali aree gli Usa continuano la guerra contro i talebani e, sopratutto i talebani continuano quella contro gli americani con centinaia di attacchi. Le forze del contingente italiano rimarranno a Kabul e ad Herat, ma si parla ovviamente di assetti da combattimento e perfino di cacciabombardieri da “dare alla Nato”. Al solito, siamo nel pieno dell’ambiguità, ma tutti sono contenti perché siamo “brava gente” e portiamo doni agli afgani per il Santo Natale (!!!).
Un cambiamento di strategia di difesa. La Nato ha accettato questa espansione su pressione degli americani, che non ce la fanno più, e degli inglesi i quali, assieme ai canadesi, vogliono più mano libera perché hanno da tempo capito due cose: che gli americani sono il problema e non la soluzione (i metodi americani, drastici contro la popolazione e acquiescenti e conniventi con i signori della guerra e della droga sono altamente controproducenti per tutti i contingenti stranieri), e che la difesa di Kabul è inutile e sterile se il resto del paese è assolutamente fuori dal controllo sia della Nato che degli americani: Kabul si difende dall’esterno e non dall’interno.
Tutto questo comporta che il contingente Nato, finora asserragliato con poche forze e nessun assetto da vero combattimento a Kabul, assuma responsabilità e rischi di vero e proprio combattimento.
Tecnicamente la missione di stabilizzazione Isaf si espande perché si devono “stabilizzare” altre aree dopo aver avuto grande successo (!!!) a Kabul.
La Nato entra in guerra con 5 anni di ritardo. Sostanzialmente, e io ritengo anche giuridicamente, subentrando agli Usa e/o con gli Usa in un territorio in cui gli Usa stessi non hanno concluso la propria operazione di guerra (Enduring Freedom), la Nato entra in guerra. Paradossalmente inizia a distanza di cinque anni quello la Nato si era offerta di fare all’indomani dell’11 settembre 2001 e che gli stessi americani sdegnosamente rifiutarono: la compartecipazione alla guerra (difesa collettiva) legittimata dalla invocazione dell’art. 5 del Trattato dell’Alleanza Nord-Atlantica. Un’invocazione che tutti accettarono e che nessuno ha mai contestato. Resta da vedere quanto sia possibile fare riferimento a un’invocazione di cinque anni fa, rifiutata e mai tradotta in operazioni. E se non si fa riferimento ad essa, non c’è altro strumento giuridico per passare dalla stabilizzazione di Kabul alla guerra contro i talebani.
I talebani, non sconfitti, sono ancora il governo legittimo. Ricordo fra l’altro che i talebani non sono semplici terroristi. O meglio non sono soltanto questo: sono anche i rappresentanti del governo legittimo dell’Afghanistan precedente alla guerra. In linea teorica, la loro legittimità sull’Afghanistan si esaurisce con la debellatio, cioè con la loro sconfitta, con la fine della guerra e con l’instaurazione di un nuovo governo legittimo. Ma se gli americani continuano la guerra contro di loro significa che la debellatio non è stata completata, che il governo è un fantoccio degli occupanti e che in sostanza i talebani continuano a combattere giuridicamente in nome di uno Stato che non ha firmato alcuna resa e che non ha cessato di rivendicare la propria sovranità contro l’occupante di turno. Ma questa è soltanto una mia idea.