La mia Argentina resistente

Intervista Parla Fernando Solanas, regista di «La dignidad de los nadies», film che racconta la mobilitazione della gente contro le repressioni della polizia di Buenos Aires. «Il popolo è sceso in strada nel 2001 contro il modello neo-liberista. Tutto il paese era in stato di assemblea permanente»

VENEZIA
Il grande poema dell’Argentina contemporanea è La dignidad de los nadies (La dignità dei «nessuno») di Fernando Solanas, nome di battaglia «Pino», come lo chiamano anche nelle manifestazioni e nelle borgate di periferia, al parlamento e per le strade di Buenos Aires. Con La memoria del saccheggio aveva composto il saggio teorico, il trattato economico, il grande affresco che racconta l’antefatto, ovvero come è stato possibile che un paese così ricco come l’Argentina fosse precipitato nell’abisso. La risposta, articolata in un magnifico lavoro, bisognava rintracciarla nella storia del paese e nel neoliberalismo selvaggio sposato in maniera criminale e avventurosa. Mentre girava La memoria già si mobilitava la resistenza nel paese, si creavano quelle forme di democrazia diretta come le assemblee permanenti nelle fabbriche occupate che gli operai si sono impegnati a gestire in prima persona («una fabbrica può funzionare senza padrone, ma non funziona senza operai» ci dicevano nelle fabbriche) con l’aiuto anche dei quadri provenienti dall’università, le mense comuni, le scuole rurali, la lotta contro le banche e le leggi ereditate dal tempo della dittatura, la mobilitazione della gente contro la repressione della polizia. Solanas racconta tutte queste vicende avvicinandosi con una macchina da presa fraterna ai protagonisti, dieci storie, un unico emozionante racconto. Parliamo di poema perchè ci viene in mente il ritmo del Martin Fierro ( Aquí me pongo a cantar/Al compás de la vigüela,/Que el hombre que lo desvela/Una pena estraordinaria…): la cadenza delle rime che di tanto in tanto sottolineano gli eventi sono precisamente le stesse del povero gaucho ottocentesco, immerso nel mare di cardi della pampa, costretto ad andare a combattere contro poveri come lui. Solanas ci dice che è proprio questo che ha voluto fare, dare un nuovo capitolo all’epopea argentina. Qui le sue risposte sono eroiche e servono anche per noi che in Italia condividiamo lo stesso sistema economico. «Non voglio parlare dell’Italia, ci dice, perchè non è giusto farlo per me che vengo da fuori, ma nel giro di qualche anno deve essere successo qualcosa che ha cambiato questo paese: Berlusconi è uno che ha capito bene il potere di cambiamenti colossale che hanno i media nella società. Le sue tv hanno portato la società indietro».

La dignidad de los nadies ha appena ricevuto alla mostra di Venezia il pemio Doc/It provincia autonoma di Trento prima edizione (ex aequo con East of Paradise il viaggio nella Storia di Lech Kowalski) una giuria composta da Vittorio De Seta (Presidente onorario di Doc/it), dal produttore francese Philippe Avril, dallo svizzero Alberto Chollet e da Gabriele Röthemeyer. Motivazione:«Per la sensibilità poetica e l’intensità civile nel raccontare un momento drammatico della storia argentina rendendo universale il dolore e la dignità di un popolo attraverso memorabili testimonianze di piccoli eroi della quotidianità. Nell’Argentina contemporanea le risposte della gente tali da produrre veri miracoli di solidarietà non nascono dal nulla, vengono dalla tradizione di lotte dell’epoca anteriore alla dittatura. Nel film si parla di politica, quella fatta dalla gente che decide come organizzarsi. «Cos’è la politica? dice Solanas, è la gente che risolve i suoi problemi, come fanno i 12 milioni di disoccupati che hanno perduto tutto, come avviene anche nelle 180 fabbriche recuperate dagli operai, o nelle piccole imprese agricole descritte nell’ultimo capitolo, dove si fronteggiano le banche che fanno azione di usura. Il popolo è uscito in strada nel 2001 contro il modello neoliberista, il 2002 è stato un momento di straordinaria democratizzazione, tutto il paese era in stato di assemblea permanente, ma è una situazione che non può durare al’infinito. Era gente che aveva una sfiducia assoluta nella classe politica e non voleva trasformarsi essa stessa in classe politica, la gente non sapeva come diventare dirigente politico». Ma anche Solanas ha avuto la sua esperienza di rappresentante politico (nel Frepaso), gambizzato nel `91, il primo attentato politico della democrazia: «Sono stato deputato dal `93 al `97, poi ho detto basta, sono contro la professione politica. Ci si deve impegnare, ma non rinunciare alla propria vita e si deve tornare al proprio lavoro. Il popolo è in grado di prendere decisioni anche senza sapere tutto, del resto anche i ministri hanno i loro consiglieri». Come ha girato il suo film? «Girare un documentario è come andare a caccia, bisogna essere in pochi. Io avevo solo l’assistente alla camera, l’ingegnere del suono e un incaricato di produzione. Abbiamo ripreso tutto in 40 giorni e poiché mi conoscono sono riuscito a entrare nelle case dei miei personaggi anche in situazioni molto intime, come al funerale del ragazzo ucciso dalla polizia della provincia di Buenos Aires, una mafia di 70 mila funzionari che ora la legge sta smantellando con l’elezione diretta dei funzionari. Oggi non si può distinguere tra documentario e finzione, io voglio la fusione dei generi, del resto anche la letteratura passa dalla realtà alla finzione, quella latinoamericana è così, basta pensare a Borges».

Del presidente che tutti ammirano ma aspettano al varco, dice: «Io mi tolgo tanto di cappello a Kirschner, ha fatto molti cambiamenti, ma siamo ancora nel neoliberalismo. È vero che si è avuto l’8% di superavit , mai nessuno era arrivato a uno sviluppo del genere, ma non c’è in Argentina una distribuzione equa della ricchezza. Kirschner dà un grande appoggio alla grande politica dei diritti umani, questo è grandioso, ma da un punto di vista economico non ha raggiunto risultati nella ripartizione dei beni. Nessuno sapeva chi era Kirschner, prima che diventasse presidente, veniva da una piccola provincia di 350 mila abitanti, era un governatore senza forza politica, un progressista di centrosinistra del partito giustizialista, che ha cominciato a fare carriera con Dualde, il vice di Menem e poi suo oppositore. Nessuno lo dava per vincitore, ha fatto cose che nessuno si aspettava e poi la sua popolarità è balzata in alto». Di Kirschner il film mostra una scena chiave del suo mandato, quando ordina ai capi di stato maggiore di togliere i ritratti dei personaggi appartenenti alla dittatura dalla Casa Rosada. «Quando avvertivo del pericolo nel’90 e parlavo contro Menem mi dicevano che ero risentito, anacronista, poi nel 2000 mi hanno dato ragione: come si vede anche da quello che è successo a New Orleans: si è alzato un sipario. Tutti sapevano della fame e che all’interno degli Stati uniti c’è un terzo mondo di gente invisibile. Il mio film fa vedere questo mondo: ho deciso di fare un nuovo Las horas de los hornos (L’ora dei forni, girato con Getino nel ’66-’67) in un paese dove dal `98 al 2003 piu’ di 100 mila argentini sono morti per fame e malattie curabili, per riscattare la gente che si percepisce come una massa anonima, che ha messo in movimento un’etica della cooperazione, alternative solidali per la mancanza di cibo. Mai questa realtà arriva in tv, e se non arriva in tv non esiste. Naomi Klein? Eccellente, ha divulgato un po’ la nostra realtà. Quelli che vengono da noi sono gente onesta che vede le cose e le esprime.L’alternativa? Non si inventa in un anno. Sono appena stato in Equador dove ci sono state insurrezioni popolari con matrice indiana, con il limite che non delegano rappresentanti. Noi paesi latinoamericani viviamo la cronaca del tradimento come vera essenza della politica, il Brasile è il caso più patetico. In genere avviene questo processo: atto primo: ci viene detto che la situazione è così grave che non si può fare quello che è stato promesso, come atto secondo il militante realizza che gli hanno fatto votare leggi che neanche la destra aveva votato, nel terzo atto ci accorgiamo di essere stati traditi e viene fuori la corruzione. I media e la mano del potere fanno infine da tritacarne e non resta niente perchè hanno distrutto tutto».

Il film è dedicato a Fernando Birri e a Valentino Orsini: «Birri è un grande non solo come cineasta ma anche come uomo du cultura, poeta, pittore, scrittore, un grande per talento, generosità e immaginazione. Valentino Orsini per noi arrivati dall’Argentina nel `64 è stato la passione, una sorta di fiamma anarchica, liberatrice. Devo a lui se L’ora dei forni è stato portato a termine. Quando sono arrivato in Italia vedevamo come una luce il più forte partito dell’occidente, Gramsci (non Stalin). Come è stata bruciata questa forza enorme? Penso che abbiamo vissuto una sconfitta culturale monumentale, non solo italiana. Si è detto, dobbiamo rassegnarci, il mondo non si può cambiare, ma l’idea della rassegnazione è un’idea perversa è un’idea di sconfitta. L’idea della globalizzazione, più l’individualismo, piu’ la rassegnazione è l’idea piu’ corrotta di tutte».