La metamorfosi del Partito di Dio

Grandi bandiere gialle con il logo in verde del movimento sciita Hezbollah, la resistenza islamica libanese, sono comparse ieri verso mezzogiorno sulle facciate annerite dei palazzoni della periferia sud di Beirut accanto a quelle dell’Italia e del Brasile, le squadre più popolari da queste parti durante i recenti campionati di calcio, oltre che sulle antenne radio delle macchine e sulle spalle dei giovani che a bordo di potenti moto e mezzi di ogni tipo, suonando il clacson a distesa hanno ricordato alla città quel che stava avvenendo lungo il confine con Israele. Alla notizia del blitz e della cattura dei due soldati israeliani giovani e meno giovani sono scesi in strada con vassoi pieni di buonissimi dolci provenienti gratuitamente dalle ottime pasticcerie della periferia sud, una volta definita la «cintura della miseria e della paura». Miseria per i poveri contadini sciiti del sud Libano rifugiatisi con le loro povere cose alle periferia della capitale dopo essere scappati dai campi di tabacco del sud al tempo della prima invasione israeliana nel 1978 e accampatisi alla meglio presso amici e parenti. Della paura soprattutto per i contingenti americani e francesi schieratisi dopo l’invasione del Libano del 1982 a difesa del governo falangista filo-israeliano di Amin Gemayel, i cui comandi vennero fatti saltare in aria nel 1982-84 e per i molti rapimenti di cittadini occidentali nascosti spesso nelle casette abusive di Ouzai, famose per i loro falegnami e i loro meccanici, praticamente sulle dune di sabbia non lontano dal mare. La stessa periferia sud dove, già prima degli sciiti del sud degli anni 70-80, si erano accampati i profughi palestinesi cacciati dalla loro terra nel 1948. Il blitz degli Hezbollah è stato amplificato dalla radio del movimento e dalla televisione al Manar e ha galvanizzato l’opinione pubblica del Libano del sud e di Beirut come una concreta forma di solidarietà nei confronti dei palestinesi, piccolo ma importante gesto di fronte alla paralisi araba, alla complicità Usa con Israele e ai colpevoli silenzi europei. Festeggiamenti per i blitz degli Hebzollah si sono avuti anche nelle città libanesi del sud sia a Tiro, la più vicina al confine sia a Sidone che ospita oltre 90.000 palestinesi. Festeggiamenti con fuochi di artificio e salve di spari in aria ma anche timore per una situazione che potrebbe ulteriormente peggiorare. «Pochi dormiranno, questa notte a Beirut o nel sud – ci dice il direttore del quotidiano progressista Talal Salman – perché il rischio di un precipitare della situazione, vista l’avventurismo del governo israeliano sostenuto dagli Usa e dalla insipienza europea, è molto forte. Le prossime 72 ore saranno decisive. L’impunità e il sostegno acritico ad Israele sono sempre stati all’origine di tremende tragedie per il medioriente e per Israele stessa».
Il partito degli Hezbollah con il blitz di ieri ha inteso anche rispondere al piano di Usa e Francia, coperto anche dall’Onu, di arrivare ad un disarmo della resistenza libanese senza alcun ritiro israeliano né dalla Palestina, né dal Golan, né dalle stesse fattorie di Sheba alle pendici del Golan – che per il governo libanese e quello siriano apparterrebbero alla repubblica dei cedri e invece per Israele e l’Onu alla Siria. Il movimento sciita e una maggioranza dell’opinione pubblica libanese sostiene invece che la risoluzione 1559 per il disarmo delle milizie non riguarderebbe la resistenza degli Hezbollah in quanto questa ha il compito di difendere e liberare il paese e quindi avrebbe un carattere «nazionale» e non di parte. Il disarmo o meno della resistenza libanese, preteso da Usa e Francia ha profondamente diviso non solo le forze politiche del paese ma lo stesso governo di unità nazionale portando ad una sua totale paralisi e il paese sull’orlo del precipizio. Nel governo si scontrano infatti una maggioranza filo-Usa composta dal premier Fouad Sinora esponente della famiglia Hariri, dal falangista Samir Geagesa, l’esponente delle destre cristiane Amin Gemayel e dal leader druso Walid Jumblatt. A questa si oppone invece la minoranza (in realtà maggioritaria nel paese) costituita dai partiti sciiti Hezbollah e Amal, da parte della comunità sunnita, dal famoso generale cristiano maronita Michel Aoun – con il gruppo parlamentare cristiano più forte nel parlamento – esponenti filo-siriani come Karame e Franjieh, laici come Selim el Hoss. Al centro dello scontro tra i due schieramenti, oltre alla resistenza e alla Palestina, c’è anche il delicato tema dei rapporti con gli Usa da una parte e Damasco dall’altra.
In realtà i piani Usa si sono arenati in particolare sull’inedita alleanza tra il generale cristiano maronita Michel Aoun (eroe della guerra di liberazione contro la Siria del 1990), il segretario Hezbollah, Hassan Nasrallah e i sunniti di Sidone. L’alleanza con Aoun costituisce il punto di arrivo di un lungo processo di revisione della piattaforma politica degli Hezbollah che partiti esclusivamente come movimento di resistenza all’occupazione israeliana, nell’estate del 1982 – anche se il partito venne ufficialmente fondato nel 1985 – grazie al sostegno delle guardie della rivoluzione iraniane nella valle della Beqaa, ha abbandonato progressivamente il progetto di una repubblica islamica di tipo Khomeinista per diventare un movimento di resistenza «nazionale» e accettare non solo la via parlamentare ma anche il carattere interconfessionale dello stato libanese. Da qui i suoi successi, con liste interconfessionali sia nelle elezioni locali, soprattutto nel centro sud, sia in quelle politiche del 2005 quando ha avuto 12 deputati e, con gli altri movimenti sciiti e i parlamentari indipendenti, ha costituito un blocco di circa 35 deputati (su 128) e ottenuto due ministri e un indipendente nel sempre più precario governo di unità nazionale.