La metà esclusa del sacro regno

INTERVISTA

«La donna deve diventare cittadina a pieno titolo dell’Arabia saudita». Parla Hatun al-Fassi, principale esponente del movimento delle donne nel paese

Hatun Al-Fassi da cinque anni percepisce regolarmente lo stipendio di docente universitario, partecipa a seminari di aggiornamento e tiene lezioni all’estero ma non ha avuto più la possibilità di insegnare nel suo ateneo, il Re Saud di Riyadh. «Non mi è mai stata data alcuna motivazione ufficiale di questa esclusione, il direttore del mio dipartimento evita di affrontare il problema». Al-Fassi tuttavia conosce bene le ragioni della discriminazione che subisce da tanti anni: le sue idee «sovversive» e la sua attività in sostegno dei diritti delle donne in Arabia Saudita. Al-Fassi oggi è la principale esponente del nascente movimento delle donne saudite. L’abbiamo incontrata a Riyadh e con lei abbiamo discusso della condizione femminile nel paese e della esclusione delle donne dalle elezioni di giovedì scorso.

Nei giorni che hanno preceduto il primo voto della storia saudita lei ha dichiarato più volte che l’esclusione delle donne ha rappresentato un colpo duro alle speranze di chi si batte per cambiare il paese.

Negare il diritto di voto alle donne è stato un errore gravissimo da parte delle autorità. Si sarebbe potuto dare uno scossone al paese e, senza violare in alcun modo i principi dell’Islam, infrangere la tradizione alla quale la nostra società è ancorata. Non si può perdere altro tempo. La donna deve diventare cittadina a pieno titolo dell’Arabia saudita e non essere vincolata in ogni aspetto della sua vita agli uomini. Se vogliamo comprare un telefono cellulare o aprire un conto corrente dobbiamo avere l’autorizzazione del marito o dei familiari maschi. Possiamo circolare in strada o viaggiare soltanto se accompagnate da un mahram (custode maschio) e, ancora oggi, ci viene proibito di guidare. Tutto ciò si scontra con i passi in avanti fatti dalle donne che sono mediamente ben istruite e in grado di inserirsi nel mondo del lavoro. Pensate, una donna saudita (Hanadi Hindi, ndr) di recente ha avuto il brevetto di pilota civile e tra qualche mese saràal comando di un jet del principe Walid ma non può mettersi al volante di una automobile.

Lei ha fatto riferimento all’istruzione. Le ragazze oggi possono accedere a tutti gli studi?

Ad una buona parte ma non a tutti. All’università ad esempio, non possono frequentare le facoltà di ingegneria e legge e i programmi di studio spesso sono diversi da quelli dei loro coetanei maschi. Lo sviluppo recente più positivo è stato l’aver sottratto l’istruzione femminile al controllo delle gerarchie religiose. Ciò purtroppo è avvenuto solo dopo l’incendio, qualche anno fa, in un college femminile di Medina in cui morirono una quindicina di ragazze. In quel caso le autorità ebbero modo di vedere la pericolosità oltre che l’assurdità della segregazione in cui vengono tenute le donne. Mentre l’edificio veniva divorato dalle fiamme le guardie della mutawa (polizia morale) si preoccupavano di far uscire dal college solo le ragazze con l’abaya (il lungo mantello che le donne devono indossare quando vanno in strada, ndr). Inoltre alle studentesse non venne concesso di telefonare direttamente ai vigili del fuoco poiché alle donne non è consentito parlare ad uomini estranei alla loro famiglia.

Le autorità di governo e la monarchia in modo particolare, si vantano di aver concesso alle donne il documento di identità. Come spiega che sino ad oggi solo il 6% della popolazione femminile ha richiesto la tessera?

La spiegazione più comune è che le donne rifiutano di farsi fotografare perché non vogliono farsi vedere a volto scoperto da uomini estranei alla loro famiglia. Questo però è vero solo in parte. Il motivo reale è che la legge prevede che siano ancora gli uomini ad autorizzare moglie, figlie e sorelle a fare richiesta del documento di identità. Inoltre negli uffici pubblici alle donne viene ancora chiesto di presentare il vecchio documento con la foto del padre. In ogni caso questo piccolo passo in avanti fatto dalle autorità non è stato la conseguenza di una sincera volontà di cambiamento sociale ma piuttosto una necessità dettata da motivi di sicurezza. La lotta alle organizzazioni estremiste armate, responsabili di gravi attentati, ha imposto alle autorità la distribuzione di documenti di riconoscimento anche alle donne.

Qual è il nodo che dovrà essere sciolto per dare una svolta alla condizione della donna in questo paese?

Sono due i punti centrali. Il primo riguarda il rapporto tra tradizione e Islam. Gli uomini in Arabia saudita affermano di essere custodi dei principi della religione ma ciò non è vero. Le restrizioni fortissime alle quali sono soggette le donne non sono previste dall’Islam ma imposte da una società tribale che si fonda su valori vecchi di mille anni. Il secondo riguarda l’atteggiamento di molte donne che, inconsapevolmente, legittimano la segregazione. Molte di noi hanno interiorizzato l’idea di inferiorità rispetto agli uomini. Tante di noi pensano che sia un errore sfidare la tradizione. Modificare questo modo di pensarci all’interno della società e cominciare a prendere piena coscienza dei nostri diritti è una delle sfide più difficili che abbiamo davanti a noi.

Vi state organizzando, esiste un coordinamento tra i vari gruppi di donne attive sul tema della emancipazione?

Non abbiamo organizzazioni ufficiali perché sono vietate dalla legge. Ci riuniamo in abitazioni private e sedi di associazioni e formiamo gruppi di lavoro. A Riyadh circa 150 donne stanno elaborando proposte per migliorare la condizione femminile che, si spera, possano essere presentate alle autorità di governo al più presto. Siamo in contatto anche con gruppi di attiviste a Jedda e altre località del paese, allo scopo di promuovere un maggiore inserimento della donna nel mondo del lavoro che riteniamo fondamentale per trasformare radicalmente la nostra condizione. La collaborazione con organizzazioni all’estero e’ l’altro nostro obiettivo immediato. Solo se saranno alleate le donne, in questo paese e nel resto del mondo, potranno conquistare i loro diritti.