La maledizione di Haiti e Santo Domingo

Con un’ironia un po’ macabra si può dire che su Haiti e la Repubblica dominicana, i due disastrati paesi che condividono molto a malincuore quella che un tempo si chiamava l’isola di Hispaniola, piove sul bagnato. Forse bisogna richiamarsi all’ira degli dei – Haiti è famosa come la patria del vudù – ma più probabilmente, anzi certamente, alle responsabilità degli uomini. Non solo i «selvaggi» haitiani, capaci peraltro di produrre pittori e scrittori fra i più grandi del mondo. Ma anche il mondo «civile», con in testa il suo campione incontrastato: gli Stati uniti. Che di Haiti ha fatto una pattumiera per le sue fabbriche d’assemblaggio a manodopera praticamente schiava, il fruttuoso snodo caraibico per la coca colombiana diretta negli Usa e, imponendo un duro embargo economico contro le pratiche anti-democratiche dell’ex presidente Aristide, ha spinto ancor più gli haitiani alla disperazione. E che della Repubblica dominicana ha fatto un grande ed esclusivo resort per vacanzieri in cerca di esotico, vecchi pensionati e magari puttanieri, lasciando andare in malora quasi tutto il resto. Per Haiti il 2004, l’anno in cui ha celebrato il bicentenario della sua indipendenza, si rivela particolarmente tragico. È come se incomba la maledizione per la temerarietà di essere stato, un paio di secoli fa, il secondo paese del continente americano a proclamarsi indipendente – dopo gli Stati uniti – e, peggio ancora, la prima repubblica nera del mondo. Tutto questo accadde nel 1804 quando Haiti era ancora l’ex «perla delle Antille». Poi è stato quasi un ininterrotto disastro. I marines Usa quasi in pianta stabile, la dinastia dei Duvalier, i ton-ton macoute raccontati da Graham Greene, l’1% dei mulatti che parla francese, ha casa e business a Miami e detiene il 50% come minimo dell’intera ricchezza nazionale contro il 99% dei neri che parla creolo, deve sfangare la vita con meno di un dollaro al giorno e non vede altra chance se non buttarsi a mare per tentare di raggiungere le coste della Florida: lasciandoci sovente la pelle o essendo ancor più sovente intercettata dalla Guardia nazionale e, non essendo cubani, rispediti a Haiti. E’ così che in questi 200 anni Haiti è diventato il paese più povero dell’emisfero occidentale, con un reddito pro-capite sui 400 dollari l’anno.

Jean-Bertrand Aristide, il piccolo prete delle bidonville che si richiamava alla teologia della liberazione, eletto presidente a valanga nel `90, aveva suscitato la speranza che anche per Haiti i tempi potessero cambiare. Rovesciato da un golpe militar-civile, ispirato – ça va sans dire – da Washington, fu riportato al potere nel `94, dopo qualche anno di esilio «rieducativo» negli Usa, sulle spalle di 20mila marines mandati da Clinton a restaurare «la democrazia». Ma non era più lo stesso Titid di prima. Povertà per i poveri, corruzione per i ricchi e i potenti, violenza per tutti. Con l’arrivo di Bush alla Casa bianca, nel 2001, Aristide cessò di essere benvisto o tollerato dall’amministrazione, dalla comunità nera afro-americana e dal Black Caucus di Capitol Hill. Il segretario di stato Colin Powell, pallido nero con ascendenti giamaicani, giurava che anche nel nuovo «American century» gli Usa avrebbero rispettato sempre e favorito, come nel vecchio, la democrazia. Ma le due rivolte parallele dell’inizio dell’anno – quella della «società civile» amica degli Usa e del neo-liberismo, e quella armata con armi della Cia passate per Santo Domingo e guidata da noti assassini, golpisti e narcos – facevano in realtà parte di un unico piano, sotto la longa manus di Washington, per fare fuori Aristide, che forse era corrotto ma di certo era anche visto come un ostacolo al neo-liberismo selvatico made in Usa (e in Francia). Il 29 febbraio, di fatto, Aristide fu sequestrato e cacciato dall’ambasciatore Usa a Port-au-Prince, il proconsole James Fawley. Ora è in attesa di accomodarsi in Sudafrica. Lo stesso giorno a Haiti arrivò una «forza multinazionale» benedetta dal Consiglio di sicurezza: 2000 marines (un’altra volta) e 1500 fra francesi, canadesi e cileni. Il primo maggio il Consiglio di sicurezza ha votato all’unanimità l’invio di una Missione Onu per la stabilizzazione di Haiti: 6700 soldati e 1600 poliziotti da diversi paesi, prevalentemente latino-americani che cominceranno ad arrivare a Haiti il 1° giugno (ma non è sicuro che americani e francesi se ne andranno). Dovranno riportare l’ordine e la democrazia – a Haiti si è scatenata la caccia alla streghe contro i seguaci di Aristide, ancora popolarissimo fra le masse nere diseredate – nonché preparare «libere elezioni» nel 2005.