La malattia di Mirafiori

La sconfitta dei sindacati confederali alle Carrozzerie di Mirafiori, per le sue dimensioni e il contesto in cui è maturata, merita attenzione. Partiamo dai numeri: la Fim scende dal 30 al 26,7%, la Fiom dal 28,1 al 23,6% e la Uilm dal 17,2 al 14,3%, cedendo la terza posizione al Fismic che sale dal 13,9% al 19,9%. A guadagnare in voti e in percentuale, insieme al sindacato giallo (il Fismic è l’erede del sindacato aziendalista che si chiamava Sida), troviamo l’Ugl, il sindacato di destra erede della Cisnal che sale dal 6,9% al 9,8% e i Cobas in salita dal 3,7% al 5,5%. Lo schiaffo preso dai confederali al voto per il rinnovo delle Rsu segue di pochi mesi un altro segnale negativo per Fim, Fiom e Uilm: nella più grande fabbrica italiana, al referendum per l’approvazione dell’accordo sul contratto nazionale, solo poco più della metà dei lavoratori aveva votato sì. Per onestà di cronaca va detto che in diversi stabilimenti Fiat il contratto è stato addirittura bocciato.
Dunque, Fim Fiom e Uilm perdono il 10,7%. La Fiom scende in tutti i settori delle carrozzerie, dalla lastratura alla verniciatura, al montaggio. Cresce soltanto – ed è curioso – tra gli impiegati e tra i vigilanti. Che succede a Mirafiori? Innanzitutto va detto che le dichiarazioni del ministro del lavoro Cesare Damiano, torinese ed ex segretario della Fiom piemontese, conoscitore attento della realtà di Mirafiori, vengono contestate dal segretario della Fiom torinese Giorgio Airaudo: non è vero che i meccanici della Cgil passano dalla maggioranza assoluta al 23%. Il massimo dei consensi nelle elezioni delle Rsu dall’84 (le prime dopo fine dell’esperienza dei consigli di fabbrica, con i delegati eletti dai gruppi omogenei) è il 29%. Evidentemente Guglielmo Epifani che parla di discesa «dalla maggioranza a poco più del 20%» è stato «sviato dalle dichiarazioni di Damiano», insiste Airaudo. Anche secondo il segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini, quello di Damiano «è un commemnto che nulla ha a che vedere con la realtà espressa dai voti dei lavoratori ma riguarda il giudizio sulla Fiom, fino al punto di fornire dati sbagliati». Non è la prima volta, aggiungiamo noi, che viene tentata un’operazione di attacco-normalizzazione nei confronti della Fiom. Anche per Rinaldini, lo schema per leggere il voto di Mirafiori non è quello consunto moderati/radicali. E’ in gioco la natura stessa del sindacato, il suo futuro: «La capacità di esercitare un ruolo sulla prestazione lavorativa che non può prescindere dall’attivazione dei lavoratori e dei delegati.
Pur senza esagerare sui numeri, la sconfitta c’è e va analizzata. La prima considerazione che ci viene dai delegati e dai dirigenti sindacali a cui abbiamo chiesto «che succede a Mirafiori?» è che tra il voto per l’elezione delle Rsu di tre anni fa e quello della scorsa settimana, alla Fiat è cambiato quasi tutto. Quando a Mirafiori si lottava contro la chiusura, in piena crisi Fiat, crescevano i consensi all’organizzazione che più si è battuta in difesa del posto di lavoro e della continuità della produzione automobilistica, cioè la Fiom. Quando si è vista la fine del tunnel, quando è arrivata una nuova linea per la Grande Punto, quando la cassa integrazione è stata riassorbita (salvo tra gli impiegati, quelli che, soli, hanno fatto crescere i voti della Fiom)), «si è tornati all’antico», dice Airaudo. Lo spiega bene Fabio Di Gioia, delegato degli impiegati a Volvera: «Quando c’è da lottare stanno con noi, quando c’è un po’ di grasso da condividere rispunta l’aziendalismo e molti scelgono i sindacati più vicini all’azienda, quelli che riescono a ottenere “favori”». I favori sono poi un cambiamento di turno, un po’ di straordinari per chi ha più problemi economici in famiglia. Su questo terreno, il Fismic funziona meglio di Fiom, Fim e Uilm.
Però cresce anche il sindacato di destra, l’Ugl. Due le spiegazioni, una sindacale e una politica. Quella sindacale non si discosta dalle riflessioni di Rinaldini: «Da 10 anni non riusciamo a contrattare nulla, non si rinnova l’integrativo, non si contratta l’organizzazione del lavoro». Al massimo riesci a trattare le ferie e la festività per il santo patrono», dice Di Gioia. Airaudo aggiunge che il sindacato ha un ruolo più politico che non legato alle condizioni di lavoro. In più, non funziona nelle grandi fabbriche il sistema di rappresentanza delle Rsu: 45 delegati per 5.300 dipendenti, «intere linee e settori non hanno un delegato». Contrattazione, e rappresentanza: «nei grandi stabilimenti il sistema delle Rsu non funziona». Per Rinaldini come per Airaudo, il sindacato deve strutturarsi in modo da tornare a incidere, rimettendo radici nei reparti».
Infine, un problema politico: lo schema «sindacato rosso» e voto a destra non funziona più, anche a Torino: «La novità non è che parte dei lavoratori vota a destra, ma che ora rivendicano questa scelta, e magari anche l’adesione al sindacato di classe comincia a venir meno». Qualcuno ricorderà l’inchiesta del manifesto sul voto a destra degli operai del Nord.