– Come capogruppo di Rifondazione Comunista in Emilia-Romagna hai recentemente presentato un progetto di proposta di legge alle Camere per l’istituzione di una nuova scala mobile. Qual è il significato politico di questa iniziativa?
Noi vorremmo contribuire, dal nostro livello istituzionale regionale, a sostenere questa importantissima campagna nazionale per introdurre una nuova scala mobile. Questo movimento va sostenuto e rilanciato senza alcuna esitazione a maggior ragione dopo l’esito elettorale. Il risultato risicatissimo dell’Unione rende infatti il nuovo governo Prodi esposto ai ricatti e alle pressioni dei poteri forti, come Confindustria, il Fondo Monetario Internazionale, l’Unione Europea di Maastricht e del Patto di Stabilità, il Vaticano, gli Usa, la Nato, etc.. E’ necessario controbilanciare queste spinte, rilanciando i più forti movimenti sociali nel Paese a partire dai problemi più sentiti dalla gente: la disoccupazione al Sud, la precarietà per i giovani al Nord e, innanzitutto, il vero e proprio dramma del potere d’acquisto per la stragrande maggioranza degli italiani.
– La proposta di un meccanismo automatico di adeguamento delle retribuzioni all’inflazione non è contenuta nel programma dell’Unione. Non credi sia un azzardo uscire dal programma?
A questa domanda rispondo con un’altra domanda: e la proposta avanzata dai ministri liberisti Padoa Schioppa e Bersani di una nuova manovra antipopolare è per caso contenuta nel programma dell’Unione? Non scherziamo. Rifondazione fa parte di una coalizione di governo, non di un partito unico. L’Unione non è il partito democratico: sarebbe inaccettabile una sorta di disciplina che volesse impedire a Rifondazione Comunista di stare con i movimenti, come per esempio pretende, con la nota arroganza, il Sindaco di Bologna Cofferati.
Capisco che non si possa pretendere oggi dal governo ciò che non è scritto nel programma, ma Rifondazione, a maggior ragione nella difficilissima situazione in cui siamo, deve dotarsi di un profilo programmatico anticapitalistico e di classe e di una iniziativa autonoma nella società.
– Tu pensi che ci siano, nel Paese, forze sufficienti per imporre al nuovo Parlamento quantomeno una discussione a riguardo?
Lo dico con franchezza: allo stato attuale non credo ci siano nel ceto politico le condizioni per imporre l’introduzione di una nuova scala mobile, così come credo che sul piano culturale il paese sia spostato a destra, come dimostra l’esito delle ultime elezioni. Ma una cosa è l’orientamento culturale, molto spostato a destra, un’altra è l’orientamento sociale. La stragrande maggioranza dei lavoratori e la maggioranza del popolo italiano potrebbero condividere la proposta di una nuova scala mobile: questo è il filo da tirare per ricostruire rapporti di forza favorevoli al movimento dei lavoratori e alla sinistra. Esistono argomenti formidabili che dimostrano che la maggioranza dei lavoratori si è impoverita mentre altri ceti hanno fatto soldi a palate. Cito un fatto per tutti: gli scandali Ricucci e Moggi dimostrano che ci si è arricchiti persino con la corruzione; contemporaneamente milioni di lavoratori non arrivano alla quarta settimana. Io penso che rimettendo al centro del dibattito politico queste problematiche sia possibile spostare i rapporti di forza e anche gli equilibri parlamentari. A riguardo noto, invece, prudenze eccessive.
? Pensi che la contraddizione di classe tra capitale e lavoro sia ancora centrale?
No, non è ancora centrale. È sempre più centrale. La globalizzazione capitalistica, con la crescita vertiginosa del proletariato su scala mondiale, ha messo al centro con sempre maggiore evidenza questa contraddizione. Ciò è vero anche in Italia, paese in cui è sempre più acuto il divario tra salari dei lavoratori e profitti dei grandi industriali.
È d’altra parte evidente che questa contraddizione, affinché non sia qualcosa di astratto al di fuori del tempo e dello spazio e sia invece una guida per l’azione, deve essere aggiornata alla fase e intrecciata con le altre contraddizioni che il capitalismo oggi genera in un paese come l’Italia, diverso, radicalmente diverso da quello ottocentesco e diverso, radicalmente diverso, per esempio, dal capitalismo indiano.
È evidente, per esempio, che la contraddizione di classe intreccia oggi in Italia la precarizzazione del lavoro, così come l’immigrazione, essi stessi fenomeni della contraddizione tra capitale e lavoro.
? Ti faccio la domanda più difficile: cosa vuol dire, allora, essere comunisti?
Vuol dire “fare” i comunisti. Non basta autoproclamarsi tali. E ciò che vale di più, soprattutto per i giovani, è l’esempio. Significa, cioè, essere, nel concreto, l’avanguardia reale nella lotta contro il capitalismo in tutti i suoi effetti. Essere comunisti significa essere alla testa della lotta per il salario e per una nuova scala mobile e contemporaneamente essere alla testa della lotta dei giovani contro la precarietà, per i diritti degli immigrati, a partire da quello di voto, per la chiusura dei Cpt. Vuol dire essere alla testa del movimento contro la guerra, effetto classico del capitalismo; contro la devastazione ambientale (vedi la Val di Susa); per l’affermazione dei diritti delle donne e degli omosessuali schiacciati dall’invadenza del neointegralismo cattolico; contro la corruzione dilagante in tutti gli ambiti della società e contro la devastazione delle coscienze e della cultura prodotta dalla mercificazione assoluta di tutti gli aspetti materiali e spirituali della vita. Sapere intrecciare a quella di classe tutte queste contraddizioni, anche quelle latenti e potenziali, con l’obiettivo di unificarle nella lotta contro il sistema, è compito dei comunisti. Non tutti gli anticapitalisti sono comunisti, ma non si può essere comunisti senza essere anticapitalisti. Altrimenti cosa significa essere “partito comunista”? Essere “avanguardia” sia nell’analisi sia nella lotta contro il capitalismo, in tutti i suoi aspetti, così come si manifestano oggi: questo dà il senso dell’essere comunista, questo rinnova e rilancia l’identità e la funzione di un partito comunista. Il quale esiste, è comunista, al di là degli aspetti nominalistici e simbolici, se è l’avanguardia di fatto in grado di dirigere realmente la lotta contro il sistema.
In questo sta la differenza oggi, non solo strategica e di prospettiva, ma anche politica ed organizzativa, con le forze riformiste, socialiste e socialdemocratiche.
? Ritieni che la struttura organizzativa di Rifondazione sia all’altezza di questi compiti necessari per fronteggiare il capitalismo in tutti i suoi aspetti?
Noi abbiamo da un lato un gruppo dirigente ormai fondamentalmente istituzionalizzato e dall’altro strutture organizzative, i circoli territoriali, spesso emarginate dai conflitti sociali in atto o in potenza.
È necessario ripensare radicalmente tanto i gruppi dirigenti quando l’organizzazione di base. Ti chiedo: nella campagna per la scala mobile hanno avuto un qualche ruolo i circoli territoriali? Per non parlare delle vertenze contro la precarietà, del movimento contro la guerra, della lotta degli immigrati. I circoli territoriali possono ancora avere un ruolo, come punto di incontro nei piccoli comuni. Ma nelle realtà metropolitane, che sono il fulcro trainante dei movimenti e del conflitto, è necessario pensare a ben altre strutture organizzative se vogliamo rifondare nell’Italia di oggi un moderno partito comunista, cioè il fulcro della lotta anticapitalistica in tutti i suoi molteplici aspetti.