La lotta di Bilin contro il Muro

È cupa l’atmosfera a Bilin, non solo per il temporale che al mattino si èabbattuto sulla zona, nel primo giorno d’inverno vero in Cisgiordania. È stata una notte difficile. Da mesi gli abitanti resistono in modo pacifico, con manifestazioni e raduni, alla costruzione del muro israeliano che ha divorato 250 ettari, ovvero il 50% delle terre del villaggio (di cui il 78% agricole). E’ una lotta per la vita. Senza quei terreni gran parte della gente di Bilin non ha un reddito, non può sopravvivere. I coloni israeliani, di Modiin Illit e Mattyahu, sono pronti ad occuparle con la complicità dell’esercito. «Abbiamo attuato una nuova iniziativa di protesta – ci ha raccontato Yonatan Pollack, di «Anarchici contro il muro» e uno delle decine di volontari israeliani che, assieme a numerosi attivisti internazionali, sostengono la battaglia di Bilin – due giorni fa abbiamo portato una casa mobile sulle terre del villaggio confiscate sul versante ovest del muro, quello che è sotto il pieno controllo di Israele. I soldati sono intervenuti con violenza e hanno portato via la casa mobile con l’aiuto di una gru. Molti di noi sono stati arrestati, altri percossi ma, nonostante ciò, abbiamo raggiunto il nostro obiettivo: spostare sia pure solo per qualche ora l’attenzione sulla lotta di Bilin». Il gesto di protesta era passato inosservato, a causa della frequente installazione da parte dei coloni di Modiin Illit di roulotte in quella zona. Poi, quando i media israeliani hanno riferito con enfasi l’inedita iniziativa palestinese, l’esercito ha annunciato che avrebbe rimosso la casa prefabbricata che ha definito una «installazione selvaggia». Osservando ieri, dal terrazzo di una abitazione di Bilin, Modiin Illit, non si poteva fare a meno di notare la sollecitudine che i comandi militare israeliani hanno avuto nello sgomberare l’avamposto «illegale» che i palestinesi avevano stabilito sulle loro terre rubate dalle forze di occupazione. Il governo di Ariel Sharon invece non muove un dito per smantellare – come ha promesso tante volte di voler fare – i cento avamposti costruiti dai coloni israeliani in altrettanti punti della Cisgiordania, illegali per la stessa legge israeliana (le 150 colonie «ufficiali» invece rappresentano una violazione delle leggi e delle risoluzioni internazionali). Appena qualche giorno fa, un giornalista di Haaretz, Akiva Eldar, ha riferito che la (cosiddetta) Amministrazione civile israeliana in Cisgiordania, sa perfettamente che 750 abitazioni di Modiin Illit sono state costruite senza alcun permesso. Esercito e governo hanno fatto finta di non vedere. Anzi, seguendo il percorso del muro in quella zona, appare evidente che le terre di Bilin confiscate serviranno proprio al favorire l’espansione delle colonie vicine. «Il significato dello sgombero della casa prefabbricata è chiaro a tutti: gli israeliani possono violare le legge come e quando vogliono nei Territori occupati, i palestinesi invece non possono mai anche se difendono le loro terre, le loro fonti di reddito, i loro diritti», ha detto l’avvocato Michael Sfard, che assiste la popolazione di Bilin. Sarcastico il commento di Drod Ektes che, per conto di Peace Now si occupa di monitorare la colonizzazione della Cisgiordania. «L’esercito non riesce a trovare i tanti appartamenti costruiti illegalmente dai coloni ebrei in tutti questi anni e ha impiegato appena 48 ore per individuare e smantellare l'”installazione selvaggia” palestinese». Simili le considerazioni del deputato Roman Bronfman (Yahad): «E’ una illegalità volta a derubare i palestinesi delle loro terre». Parlano in modo chiaro i pacifisti israeliani, tace invece la comunità internazionale. D’altronde proprio il ministro degli esteri italiano Gianfranco Fini è il più impegnato in Europa ad impedire che critiche alle violazioni israeliane dei diritti palestinesi possano disturbare «la svolta di pace» del premier Ariel Sharon. Il caso più recente è il blocco, ottenuto da Fini, della pubblicazione del rapporto dell’Ue critico delle politiche israeliane nel settore arabo (Est) di Gerusalemme.

La gente di Bilin però resiste, non si arrende. La battaglia pacifica in corso è sempre più il simbolo della lotta non violenta di un villaggio che non vuole accettare la legge del più forte e che, assieme a pacifisti e volontari provenienti da Israele e da vari paesi del mondo, crede di poter ottenere giustizia. Ieri come ogni venerdì negli ultimi mesi, un corteo di centinaia di persone ha lasciato il centro di Bilin diretto verso il muro di cemento armato costruito sopra terre fertili. C’erano anche quattro italiani – Sebastian, Vera, Giulia e Fernanda – assieme a giovani provenienti da Stati Uniti, Irlanda, Germania e dalla Korea. Davanti allo schieramento di una cinquantina di agenti della «guardia di frontiera» (un corpo paramilitare della polizia), i palestinesi hanno cercato di issare una tenda a poche decine di metri dalla barriera che segna il limite tra la cosiddetta «area di sicurezza» del muro e il resto delle terre di Bilin. «Hayalim Habaita, Hayalim Habaita» (soldati a casa), hanno scandito in ebraico i manifestanti rivolgendosi ai militari in uniforme antisommosa e pronti ad intervenire. Per oltre un’ora i soldati si sono limitati a tenere chiusa la strada. Poi, dopo qualche scaramuccia, hanno caricato i dimostranti, lanciando granate assordanti e candelotti di gas lacrimogeni. Si sono vissuti minuti di forte tensione e di scontro fisico, mentre i pacifisti israeliani e internazionali cercavano di impedire l’arresto dei palestinesi, obiettivo principale della caccia dei soldati. Tra pestaggi e fughe nei campi, sono proseguiti anche gli scontri verbali tra le due parti, tutti in lingua ebraica. Non solo per la presenza di soldati e pacifisti israeliani ma anche perché molti palestinesi di Bilin parlano l’ebraico. Negli anni passati tanti abitanti del villaggio avevano lavorato come manovali in Israele e la lotta contro il muro rappresenta anche una protesta per la chiusura di una fonte di reddito importante per tante famiglie, avvenuta dopo l’inizio dell’Intifada cinque anni fa. Un nuovo violento temporale ha messo fine alla manifestazione. Adib Abu Rahma, uno degli attivisti palestinesi contro la costruzione del muro, è stato arrestato assieme a due giovani israeliani. Un americano è stato ferito ad un braccio e a una gamba. Tanti i contusi tra i dimostranti mentre i gas lacrimogeni non hanno mancato di causare malori e sensazione di soffocamento.

«I comandi militari israeliani ci dicono di mettere fine alle proteste, che la partita ormai l’abbiamo persa e che non riusciremo a fermare il progetto del muro – ci ha detto Ahmed Mustafa che ha visto 350 alberi di olivo di proprietà della sua famiglia, sradicati dalle ruspe israeliane – ma noi andiamo avanti, sappiamo di avere ragione e riavremo i nostri diritti con l’aiuto dei tanti israeliani e internazionali che sono qui a Bilin a dirci che non dobbiamo arrenderci perché non siamo soli».