Il sito di Wikileaks, nel rendere pubbliche le relazioni tra le ambasciate americane all’estero e il Dipartimento di Stato, cita, tra gli altri, un rapporto dell’ambasciatore americano in Germania che riporta una conversazione avuta con Gregor Gysi nel novembre 2009 e ripresa nei giorni scorsi da molti giornali tedeschi. Gregor Gysi, già fondatore della Partito del Socialismo Democratico (PDS), è attualmente presidente del gruppo parlamentare della Linke al Bundestag.
Chi abbia seguito l’evoluzione della PDS tedesca, formatasi dopo il crollo del Muro e l’unificazione, ha sicuramente avvertito come i due leaders che l’hanno guidata, Gregor Gysi e Lothar Bisky, abbiano tenuto la barra del partito costantemente piegata a destra. Senza compiere, beninteso, brusche sterzate e senza infierire troppo contro l’opposizione interna di sinistra, la cui esistenza si materializza ogni anno al cimitero di Berlino per il memorial di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht.
Pur essendo stata confinata per molti anni in una sorta di ghetto ideologico, la PDS di Gysi non ha mai mancato di far pesare, nei lander orientali dell’ex DDR, il massiccio consenso del suo bacino elettorale. Per contro i suoi tentativi di penetrare anche all’ovest hanno sempre ottenuto risultati insignificanti. Il solo sospetto di collusione col comunismo è sempre stato considerato incompatibile (berufsverbot) con tutti i livelli delle strutture statali e politiche della Bundesrepublik : è una delle inique e mai rimosse eredità lasciate in Germania ovest dalla “soluzione finale” compiuta contro i comunisti dal nazismo.
La traversata della PDS dall’est all’ovest è stata perciò lunga, difficile e non priva di aspri conflitti interni. I vari passaggi tattici sono stati compiuti da Gysi con prudenza, intelligenza e serietà teutonica e alla fine l’uscita dal comunismo si è compiuta, insieme al socialdemocratico Lafontaine, con la nascita della Linke e il conseguente passaggio dalla prospettiva socialista al riformismo moderato, compatibile con gli assetti del potere politico ed economico neoliberista . Dopo di che, finalmente, la trionfale elezione al Bundestag di oltre 50 deputati.
Grazie a questo grande risultato la Linke è diventata l’oracolo per alcuni partiti europei, orfani volontari del comunismo storicamente conosciuto. La sua ostentata egemonia alimenta perciò la tentazione di alcuni malconci cofondatori del partito della “Sinistra europea” di assumere il “modello Linke”, separandosi a loro volta, nei tempi e nei modi ritenuti necessari, del poco che resta di un “comunismo” considerato ormai superato e condannato in tutte le sue versioni conosciute.
Ma la Linke è andata oltre. Mancava ancora un importante tassello, quello della Nato, per sperare di poter entrare in un futuro governo federale di centro sinistra. Questo l’ ultimo passo da compiere pagando il prezzo ad un sistema di potere che in tema di fedeltà atlantica non fa sconti a nessuno e la cui sicurezza è garantita da due istituzioni, la Bundeswehr (esercito) e la Bundesnachrichtendienst (servizi segreti), entrambe ricostruite con l’assistenza della CIA e della Nato, senza sostanziali rotture con i vecchi schemi già sperimentati dalla macchina bellica hitleriana. Vere e proprie forche caudine sotto cui devono passare in Germania coloro che coltivano speranze governiste.
Leggiamo perciò senza sorpresa le confidenziali rassicurazioni di Gysi al rappresentante americano dalle quali risulta chiaro l’invito a non prendere alla lettera le pubbliche dichiarazioni antimilitariste e anti Nato, della Linke. La sua richiesta di scioglimento della Nato è solo un escamotage propagandistico, in quanto, spiega Gysi, sarebbe attuabile solo se la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti fossero d’accordo, ma, considerate le circostanze, una simile richiesta non può che cadere nel vuoto pneumatico. Proporre pertanto il suo scioglimento, anziché l’uscita, permette, secondo Gysi, “di impedire che un eventuale appello più pericoloso chieda invece il ritiro della Germania dalla Nato”, le cui conseguenze sarebbero ben più pesanti (tanto per cominciare il ritiro del contingente tedesco dall’Afghanistan).
La spiegazione di Gysi è un po’ ambigua ma lascia pochi dubbi: la posizione anti Nato della Linke non sarebbe che un innocuo placebo per rassicurare e mantenere il consenso elettorale degli ingenui militanti antimperialisti tedeschi. Nessuno può capirlo meglio di noi italiani: quella di Gysi è una catarsi che molti ex comunisti del PCI hanno già compiuto tre decenni prima, confermandola poi in una vera e propria guerra imperialista contro la Jugoslavia.
Come già ha fatto D’Alema (e come probabilmente farebbe Vendola se fossero resi noti i contenuti dei suoi “amichevoli” incontri con l’ambasciatore americano a Roma), anche Gysi ha puntualmente smentito di avere mai rilasciato quelle dichiarazioni. E con altrettanta disinvoltura ci piglia bonariamente per fessi. Sappiamo tutti con quali sofisticati mezzi tecnologici le ambasciate americane registrino le dichiarazioni dei loro interlocutori e con quanta puntualità le trasmettano al Segretario di Stato. Ma sappiamo anche con quale efficienza siano state intercettate da Wikileaks e integralmente pubblicate.
Non a caso le suddette ambasciate e la Casa Bianca, dichiarandosi vittime della pirateria informatica, si guardano bene dal contestare i contenuti delle intercettazioni lasciando ai loro incauti visitatori l’onere di una smentita alla quale è difficile, molto difficile, poter credere.
Tutto qui. Ora almeno sappiamo come la pensa il maggior partito della “Sinistra europea” su un tema cruciale come quello della Nato contro le cui aggressioni, Jugoslavia, Iraq e Afganistan, si sono mobilitati milioni di pacifisti in tutto il mondo.
Sarebbe interessante sapere cosa ne pensano quei compagni che continuano a considerare la Linke come un modello cui ispirarsi e non perdono occasione per segnalare le virtù terapeutiche delle scelte compiute dal partito di Gysi e Lafontaine, dopo essersi separati dai valori e dalle nozioni del comunismo passato e presente.
Comunque la si pensi l’antimperialismo e il pacifismo radicato in Italia è profondamente diverso rispetto alla Germania e lascia pochi spazi a operazioni trasformistiche filo Nato. Sul terreno della lotta per la pace si è costruito, su iniziativa dei comunisti, un mondo pacifista che si è sempre contrapposto alle guerre imperialiste della Nato, diventando protagonista di una lunga storia di grandi lotte di massa che hanno mobilitato milioni di persone. Difficile credere che quel mondo sia ora dissolto. Tanto più che la natura aggressiva e imperialista della Nato non è minimamente cambiata.