Nei 35 minuti che ha trascorso ieri a Palazzo Chigi, ieri mattina,
l’ambasciatore americano Ronald Spogli avrebbe informato il governo italiano delle prossime tappe di una riduzione graduale delle truppe del sue Paese schierate adesso in Iraq. Sulla strategia da seguire a Bagdad, il rappresentante di George W. Bush ha consegnato a Silvio Berlusconi anche un documento, un fascicolo. Al governo italiano è stato chiesto di non divulgare notizie sulla tempistica della riduzione graduale dei militari americani almeno fino a stasera, per dare il tempo all’Amministrazione di Washington di informare altri prima di un annuncio pubblico più dettagliato. Fonti di solito attendibili circoscrivono a questo argomento l’oggetto del colloquio di ieri a Palazzo Chigi tra l’ambasciatore degli Stati Uniti e Berlusconi. Un incontro richiesto comunque dal primo con scarso anticipo, forse la sera precedente o forse la mattina stessa, e avvenuto poco dopo che si era saputo dell’iscrizione dell’artigliere Mario Lozano nel registro degli indagati per l’uccisione del dirigente del Sismi Nicola Calipari. Misura per la quale l’Amministrazione Bush è infastidita e non ha mancato di far sapere apertamente come la pensa.
«Ribadiamo la validità dell?indagine della coalizione condotta la scorsa
primavera, incluse le conclusioni che raccomandavano di non prendere ulteriori iniziative contro i soldati del posto di blocco», ha affermato il Pentagono tramite il comandante della Marina Joe Carpenter. Linea confermata dal portavoce del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, Lawrence Di Rita: «Non era necessaria alcuna ulteriore azione». Il posto di blocco al quale si riferiva il comandante Carpenter è quello dove Calipari fu stroncato dai colpi dei militari americani mentre era in macchina con Giuliana Sgrena, appena rilasciata dai rapitori. E l’indagine evocata è la travagliata ricerca di una versione comune, italiana e americana, che fallì. Le relazioni furono due. Separate. Mel Sembler, il predecessore di Spogli, che nelle fasi più tese del caso Calipari era stato convocato a Palazzo Chigi, disse il 2 maggio al Corriere: «La magistratura deve agire, secondo i nostri principi, quando c’ è un crimine. E qui dov’è il crimine? C’è stato un tragico incidente ». Questa è rimasta la linea di Washington. Se la tesi che a Palazzo Chigi ieri non se ne è discusso corrisponde a verità, è soltanto perché il governo italiano la conosce già. Molto bene. «Non si è assolutamente parlato del caso Calipari», ha sostenuto davanti ai cronisti Gianfranco Fini. «Si è fatto un esame della situazione internazionale: Iraq, Afghanistan e altri temi», la sua versione ufficiale. Poi il ministro degli Esteri ha aggiunto: «Gli americani sanno bene che in Italia è la magistratura a individuare le responsabilità». Che Berlusconi non sia un fan delle toghe è risaputo. Ma in questo caso il governo deve tener conto dei risentimenti dei colleghi del Sismi per la perdita di un uomo prezioso, dell’intransigenza degli Usa a difesa dei soldati sotto pressione in Iraq e della propria intenzione di non turbare i rapporti con Washington. Dal Dipartimento di Stato, il portavoce Sean McCormack è stato chiaro: «La materia, per quanto tragica, è chiusa».