La legge Lanzillotta

La domanda è: il famoso programma dell’Unione è, dal punto di vista dei movimenti sociali e della sinistra del centrosinistra, una trincea da difendere o un punto di partenza? Finora, si direbbe, è stato soprattutto la prima cosa. E non è incoraggiante, specialmente in un campo che è stato circondato di filo spinato ed è presidiato da economisti di ogni tendenza: si parla del «mercato» e della sua figlia naturale, la «crescita». Un agghiacciante esempio è quel che opportunamente segnala Marco Bersani, di Attac Italia, in un commento che pubblichiamo sul prossimo numero di Carta settimanale (in uscita sabato 26). Con molta discrezione, è stato presentato al senato (n. 772) un disegno di legge di delega al governo «per il riordino dei servizi pubblici locali». Il ddl è firmato da Linda Lanzillotta, l’eroina liberista della Margherita, in folta compagnia: Prodi in persona, e poi Bersani, Amato, Di Pietro e Bonino. Se ne consiglia la lettura, perché dimostra come il linguaggio e la visione della società e delle comunità locali che un tempo avremmo agevolmente attribuito a Ronald Reagan, oggi siano totalmente assunte anche da personaggi politici di centrosinistra. Prendiamo la parola «riforma», ad esempio. Non c’è liberista, nel mondo, che non usi questo termine per indicare l’esatto opposto di ciò che si voleva dire, citandola, prima degli anni ottanta: un tempo si trattava di ridistribuire alla società, in varie forme e su vari temi, la ricchezza collettivamente prodotta, oggi al contrario si vuole dire che i beni pubblici vanno messi in mano ai privati, alle imprese. Perché questo assicura la «concorrenza», ossia, come dice il testo della legge, «servizi di migliore qualità e con costi più bassi». Le clamorose e spesso drammatiche smentite (come nel caso delle ferrovie inglesi o delle compagnie aeree low cost) di questo presupposto vengono ignorate, come è d’obbligo nel caso di dogmi para-religiosi, qual è in effetti la natura dell’ideologia liberista (ed economica in generale). Perciò la legge del governo intende togliere ogni ostacolo al libero dispiegarsi del mercato nei trasporti pubblici, nelle forniture di gas e in altri servizi pubblici. Le gestioni cosiddette in house, ossia totalmente pubbliche, divederebbero eccezioni da cancellare rapidamente. Certo, le reti e le infrastrutture resterebbero di proprietà degli enti pubblici, secondo il modello toscano, ma la gestione dovrebbe essere pienamente aziendale. Un discorso coerente, non c’è dubbio. Con una sola eccezione, che cade improvvisamente nel testo di accompagnamento alla legge: «… servizi pubblici locali di rilevanza economica, ad eccezione dei servizi idrici», si dice. Come mai? Non c’è dubbio che l’acqua abbia una «rilevanza economica», anzi è uno dei maggiori mercati nell’ambito dei beni comuni. Né è ragionevole pensare che il fallimento, anche economico, di liberalizzazioni degli acquedotti fatte negli ultimi anni, ad esempio in Toscana, abbia indotto la signora Lanzillotta a «salvare» l’acqua. No, la ragione è solo che nel programma dell’Unione su questo, almeno, la sinistra del centrosinistra ha ottenuto un successo. E perché ha ottenuto un successo? Perché sull’acqua conoscenza del problema, campagne nazionali e globali, infinite vertenze locali hanno messo uno stop. Allora, c’è da sperare che lo stesso accadrà, man mano, anche sui trasporti locali o sul gas, e che il prossimo programma dell’Unione conterrà un salvacondotto anche per questi servizi. La legge delega sarà discussa nei prossimi mesi: si aspettano le opinioni di Rifondazione, Verdi, Pdci e sinistra ds.