«La legge Biagi si può rivedere»

Si moltiplicano le prove di dialogo tra governo e imprese. La finanziaria sta per uscire dal dedalo delle mezze ammissioni, dei «sondaggi» mediatici affidati a proposte spesso avanzate al solo scopo di saggiare le reazioni dei vari attori sociali. Ora si comincia a fare sul serio.
E così la proposta di Luca Cordero di Montezemolo per «una nuova concertazione» con al centro i nodo della «produttività» incontra la freddezza di Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, ma anche l’«interesse» del ministro del lavoro Cesare Damiano. La partita è molto complessa, perché Confindustria – da soggetto «unilaterale» qual è – mette con decisione i piedi nel piatto e rivendica un lungo elenco di misure pro domo sua: rimuovendo le «strozzature» che bloccano la «competitività» del sistema industriale nazionale, ossia «infrastrutture, conoscenza, pubblica amministrazione orientata al cittadino-cliente (sorprende che gli industriali non sappiano cogliere la radicale differenza tra i due concetti, ndr), meno tasse sulle imprese, più orario effettivo di lavoro e più salario variabile, più finanziamenti bancari senza garanzie». Sull’ultimo punto, specialmente, siamo abbastanza certi che avranno vita dura, conoscendo la logica operativa delle banche.
Sul resto è tutto da vedere. Il governo deve infatti rispondere a una configurazione decisamente più ampia di soggetti e interessi. E quindi, nella risposta del ministro Damiano, l’«interesse» si modula in un ragionamento più complesso: «Noi dobbiamo aiutare il sistema ad avere una maggiore competitività. Quando pensiamo alla Cina e all’India non pensiamo solo alla concorrenza di basso profilo, ma pensiamo anche al fatto che quei Paesi sfornano migliaia di ingegneri ogni anno». Insomma: «La qualità del prodotto e del processo produttivo si deve accompagnare in ogni caso alla qualità delle risorse umane e alla lotta alla precarietà».
E proprio la legislazione sul lavoro, annuncia il ministro, costituirà il punto forte del «grande tavolo» che verrà convocato dal governo all’inizio del nuovo anno, subito dopo il varo (che si annuncia abbastanza faticoso) della legge finanziaria. Un tavolo a cui si parlerà di «part time e cessione di ramo di impresa, appalti di opere e servizi». Il problema è che «ci sono forme di lavoro precario che certamente non aiutano» e ammortizzatori sociali «fermi agli anni sessanta». L’obiettivo delle revisione della legge 30 è chiaro: «la maggioranza dei lavoratori deve tornare ad essere a tempo indeterminato, mentre ora sono solo il 46%». Un percorso più o meno lungo per «riportare il lavoro a tempo determinato dalla flessibilità alla stabilizzazione».
Ma la parola «abolizione» non viene mai pronunciata. Piuttosto si tratterà di «riformare il lavoro», abbassandone il costo – da un lato – con «la riduzione del cuneo fiscale per il lavoro stabile» e, sul fronte opposto con «l’aumento dei contributi per il lavoro parasubordinato e gli apprendisti», oltre a interventi «su lavoro nero, edilizia, call center e contratti a termine». La strategia punta in altri termini a ridurre il divario di costo del lavoro tra «stabili» e «atipici», con qualche perdita sui primi e qualche «disincentivo» sui secondi.
Per riuscirci il governo deve ottenere il consenso dei grandi sindacati confederali. Forse anche per questo lo stesso Damiano ha tenuto a precisare di «non aver mai pensato a un’età pensionabile a 62 anni». Anzi, «il punto sarà consentire entro il 2008 di andare in pensione con meno di 60 se si hanno 35 anni di contributi». Sì, ma: con «disincentivi» o senza?