La laicità è sotto attacco? Di più, la nostra stessa storia lo è

Giorni fa Benedetto XVI, in occasione del ventennale della pubblicazione della lettera apostolica ” Mulieris dignitatem ” ha sostenuto che dio ha voluto maschi e femmine e che «correnti culturali e politiche cercano di eliminare, o almeno di offuscare e confondere, le differenze sessuali iscritte nella natura umana considerandole una costruzione culturale. E’ necessario richiamare il disegno di Dio che ha creato l’essere umano maschio e femmina, con un’unità e allo stesso tempo una differenza originaria e complementare». Ha detto poi molte altre cose, naturalmente. Ha anche sottolineato una giusta difesa della dignità della donna. L'”unità duale” che Ratzinger mette avanti a qualunque altro tipo di elaborazione concettuale o scientifica sulle differenze di genere, diviene non solamente una espressione dal sapore dogmatico, ma di più, pone interrogativi che non si possono dire mera speculazione cattedratico-teleologica.
Ne avanziamo uno come esempio: secondo l’ex prefetto del Santo Uffizio, uomo e donna sono una sola creazione di dio. Dunque ne consegue che non c’è gerarchia che tenga nel porre l’uno subordinato all’altro. La Bibbia, che resta il testo sacro per eccellenza dei cristiani e dei cattolici, in quelle che noi ravvisiamo come metafore e miti, ma che per il pontefice e i credenti sono ” verbum domini “, ci dice invece che Eva nasce da una costola di Adamo. Il mito, con una evidenza cristallina, incontestabile, pone invece la donna su un livello diverso da quello dell’uomo: è da dio che Adamo nasce, ma è da Adamo che nasce Eva. E il patriarcalismo clericale non finisce neppure oggi: l’esercizio della messa è di sola prerogativa maschile. Così anche la confessione. Come, si può vedere, già da questi pochi esempi e similitudini, si frantuma quella “unità duale” che Benedetto XVI vorrebbe come emanazione divina protetta da Santa Romana Chiesa.
Ma torniamo al concetto di naturalità del maschio e della femmina. Restiamo a questa divisione netta che non vede sfumature, che non concede alternative. Abbiamo pensato che questo discorso buttava alle ortiche anni di studi e di lotte. Abbiamo allora pensato alla scala di Kinsey. Sapete cos’è? Alfred Kinsey era un famosissimo sessuologo americano che negli anni 50 presentò il famoso “rapporto Kinsey”, un immenso lavoro sulla sessualità, decisamente innovativo per l’epoca, ancora oggi, in alcune sue parti, non superato. La scala di Kinsey (ovvero, l’ Heterosexual/Omosexual Rating Scale ) invece, è una scala di valutazione dell’orientamento sessuale umano. Sette i livelli: dall’esclusivamente eterosessuale all’esclusivamente omosessuale, passando per vari gradi di bisessualità. Questo semplificando.
E abbiamo pensato anche a Wilhelm Reich e alla sua teoria sulla funzione repressiva della sessualità – che Reich, giustamente, vedeva nella famiglia con l’educazione sessuofobica impartita ai figli, i forti divieti, il matrimonio – e abbiamo pensato che questo ancora oggi si sta facendo. Che forse quegli scritti – parliamo degli anni 30! – hanno ancora una valenza d’attualità. Che forse dovremmo riflettere ancora sul concetto per cui l’ideologia sessuofobica è funzionale al potere perché favorisce la formazione di individui passivi. E che questo stanno ancora tentando di fare. E che davvero forse si può dire che questo papa ci sta facendo fare un viaggio a ritroso nel tempo.
Identità di genere. Concetto moderno, questo. Ma certamente sentito da tutti coloro che, almeno una volta nella vita – magari adolescenti – si sono chiesti: chi sono? Cosa sono? Sono “normale”?
“Normale”. Dovrebbero abolirla la parola “normale”. Una parola che serve forse solo a schiacciare e reprimere. Una parola che per chi, come noi, ha scelto il territorio del non definito ha un portato di sofferenza. “Normale” e “normalità” sono termini che creano dei confini ben precisi, che delimitano la possibilità o meno di rientrare in un recinto protetto potentemente dal pregiudizio. Almeno il più delle volte. Poi si impara a reagire. Poi si impara a fare della propria debolezza, della propria sofferenza un punto di forza. Poi si impara a non aver paura del giudizio degli altri. Poi si impara che nessuno è “normale”. E non lo è per il semplice motivo che il grande nemico di papa Ratzinger, il relativismo, pone ogni cosa sotto una lente visiva così diversa e soggettiva da impedire una categorizzazione assoluta della normalità. Chi ha provato a normalizzare la normalità è finito con lo sperimentare la repressione più violenta per impedire ogni minima differenza da ciò che il concetto assoluto definiva come nuova etica, come fondamento del giusto e dell’ingiusto, del buono e del cattivo. Quando anche non si è caduto in derive più spartane ed edoniste: la divisione draconiana tra brutto e bello, tra sano e malato. Nel secolo scorso la più tragica espressione di tutto ciò si è concretizzata nel nazismo e nella sublimazione del razzismo come sinonimo di perfezione, nettezza e assenza di qualunque errore.
Il viaggio che ognuno di noi fa con se stesso, quando affronta il pregiudizialismo imperante, è una ricerca di un varco, di una via di uscita dall’incomprensione, la derisione a volte, il sospetto, la paura. C’è chi non ne viene fuori. C’è chi rimane sepolto sotto la coltre delle maldicenze, di una vox populi che riesce persino ad uccidere. E quando un papa sente la necessità di ribadire e definire che dio ha creato maschi e femmine, sottintendendo quindi che tutto il resto è devianza, errore, vizio, beh, allora sentiamo un brivido percorrerci. Ci sentiamo etichettati e giudicati. Nella migliore delle ipotesi, guardati come fenomeni da baraccone.
No, non pensiamo che possa esserci questo nel cattolicesimo. Non pensiamo che in una moderna società – che dovrebbe fare dell’inclusione la sua vera legge – possa esserci spazio per affermazioni del genere. Pensiamo invece che la società civile dovrebbe avere un sussulto. Non sono questioni secondarie. Attengono apparentemente alla sfera privata, ma sono questioni molto, molto politiche. Per questo crediamo che la sinistra tutta debba con forza – e sappiamo che è così – fare proprie le battaglie per la laicità dello Stato. Fra poco andremo a votare: vorremmo poter vedere nel programma della sinistra anche le questioni della laicità dello Stato, perché da lì parte una battaglia di civiltà.

*Redattore www.esserecomunisti.it
**Essere Comunisti