La Knesset vieta agli arabi i ricongiungimenti familiari

Subito prima di chiudere i battenti per la pesach, la Pasqua ebraica, il Parlamento ha fatto una sorpresa alla minoranza araba d’Israele, quel milione e 300mila persone che costituiscono circa il 20% della popolazione del paese. Con 35 voti favorevoli e 11 contrari mercoledì sera la Knesset ha esteso fino al luglio 2008 la controversa legge sulla cittadinanza e, soprattutto, approvato un paio d’emendamenti che ne allargano gli effetti – finora limitati ai palestinesi dei Territori occupati – ai cittadini iraniani, siriani, libanesi e iracheni.
Anche per questi ultimi – salvo casi eccezionali – sarà d’ora in avanti impossibile stabilirsi nello Stato ebraico in seguito a matrimonio con arabo-israeliani. Un’altra modifica approvata stabilisce che a un’eguale restrizione saranno soggetti i cittadini di stati che, in base alle valutazioni degli apparati di sicurezza, rappresentano potenziali minacce per Tel Aviv. Formalmente la legge si applica a tutti gli israeliani ma, essendo di fatto solo la minoranza araba ad unirsi in matrimonio con palestinesi dei Territori occupati o con arabi dei paesi vicini, colpisce gli arabi.
«Nel nome della sicurezza il governo adotta misure discriminatorie e sproporzionate» dichiara al manifesto Amnon Vidan, direttore della sezione israeliana di Amnesty international. Vidan spiega che «la norma non è giustificata solo da motivi di sicurezza, perché in realtà mira ad allargare la maggioranza ebraica dello Stato e mettere in difficoltà la popolazione araba: se degli arabi non possono stabilirsi in Israele, ci saranno meno arabi nello Stato». L’Organizzazione per la difesa dei diritti dell’uomo chiede perciò che il «Nationality and entry into Israel law, temporary order» (questo il nome completo del provvedimento) venga cancellato.
L’apparato militare e dei servizi segreti ha avuto un grosso peso nell’estensione temporale del decreto e nell’approvazione delle ultime modifiche restrittive. Nei mesi scorsi (la legge precedentemente era stata estesa provvisoriamente fino al 15 aprile prossimo) lo Shin bet aveva sostenuto di fronte alla Knesset che la norma fosse indispensabile, perché 38 attentati suicidi su 272 (il 14%) sarebbero stati portati a termine in Israele da palestinesi che avevano ottenuto la cittadinanza dello Stato ebraico sposando un arabo-israeliano. E nel Comitato che dovrà esaminare i casi ai quali, per «ragioni umanitarie», la cittadinanza potrà essere concessa in deroga alla norma, i membri del servizio segreto interno e dell’esercito deterranno la maggioranza. In questo modo, sostengono le organizzazioni per la difesa dei diritti civili, le eccezioni alla regola potranno contarsi sulle dita d’una mano.
Stando alle cifre fornite dal governo, tra il 1994 e il 2001 allo Stato ebraico sono state presentate 16mila richieste d’ingresso in Israele da parte di palestinesi dei Territori occupati. Per Sawsan Zaher, l’avvocato di Adalah che ha seguito l’iter della legge alla Knesset, quella prorogata e modificata l’altro ieri è «una legge razzista, perché discrimina gli arabo-israeliani sulla base della loro etnia». «Siamo cittadini di seconda classe – denuncia il legale dell’organizzazione che difende la minoranza araba in Israele -. Non possiamo scegliere a chi legarci, mentre i cittadini ebrei sono liberi di farlo».
È molto improbabile che la norma – a meno che non intervenga una decisione in tal senso dettata dalla politica – possa essere cancellata. La legge infatti, il 14 maggio scorso, ottenne il via libera definitivo grazie a una sentenza dell’Alta corte (sei voti a favore, cinque contro) che respinse il ricorso di Adalah, di famiglie colpite dal provvedimento e parlamentari che ne chiedevano la cancellazione. Secondo Human rights watch il giudizio della Corte suprema «colpisce il diritto di migliaia d’israeliani a vivere con le proprie famiglie ed è stata approvata una legge che colpisce ingiustamente i cittadini israeliani di origine palestinese».