E’come se i bombardieri già volassero a nugoli nei cieli iracheni, e i missili piombassero su città e villaggi seminando morte e distruzione, e i carri armati rastrellassero ogni strada e casa di quello stato canaglia. E’ uno spettacolo già visto fino a un certo punto, questa volta sarà più rumoroso e sanguinoso, «aprirà le porte dell’inferno» su tutta la regione e cambierà lo scenario del mondo più di quanto abbia fatto la guerra-madre del Golfo. Beato chi ancora ne dubita e pensa che la diplomazia possa fermare all’ultimo minuto questa macchina in pressione. L’anniversario dell’11 settembre offre ora all’amministrazione americana una giustificazione emotiva in più. Ma non ce ne sarebbe bisogno. Il principio aberrante della guerra preventiva perpetua, una volta affermato, legittima ogni avventura a freddo e questa nuova guerra pianificata è solo un corollario di quel principio. Oggi in Iraq, domani in Corea, dopodomani chissà, colpire per primi un nemico potenziale non è aggressione ma autodifesa. E’ la mentalità e la tecnica dei pistoleri del west applicata su scala mondiale.
Questo nuovo diritto imperiale anglo-americano prende il posto del vecchio diritto internazionale a cui si richiamano flebilmente le piccole e medie potenze europee. Il presidente Bush non dispera di richiamare all’ovile gli alleati occidentali e euro-asiatici e le satrapie arabe moderate, ma lui e il suo maggiordomo inglese e il loro staff di falchi e colombe non bluffano quando si dicono pronti ad agire da soli. E forse lo preferiscono per dar prova di superiore potenza, guardando al resto del mondo come Gulliver ai lillipuziani, considerando la carta dell’Onu come il trattato di Westfalia del 1648, proclamando un’era unipolare e nutrendo la loro strategia militare, produttiva e ambientale di questa presunzione.
Ma neanche l’America è un gigante così forte da poter fare tutto quello che vuole, anzi è ferita e in depressione e forse la paura e la disperazione dettano i suoi comportamenti più della superbia. Se anche fosse, paura e disperazione sono pessime consigliere. Aspetteremo di trovarci di fronte a un fungo atomico prima di agire? A che cosa ci serve tutta la nostra potenza di fuoco se non la usiamo? Quando i dirigenti di quel paese parlano questo linguaggio non so se provino paura e disperazione. Io sì.
Non è scrivendo un articolo o lanciando invettive antiamericane che sfuggiremo a questo destino annunciato. Possiamo augurarci che il nostro pessimo governo sia meno zelante del solito in questa occasione e meno cupido di servilismo? Possiamo sperare che l’opposizione non si limiti a obiettare ma pretenda una dissociazione italiana da questa bieca avventura? Ci accontenteremo delle dolenti perorazioni papali contro l’inutile strage?
Da coloro che calcolano così bene i costi e i ricavi di ogni guerra, e come oscilleranno i prezzi del petrolio, e come si chiamerà il prossimo dittatore iracheno esportato, vorrei sapere quale sarà il prezzo di sangue che il damerino inglese ha già messo in conto, quante saranno le vittime innocenti. E’ disgustoso questo dettaglio, che le vittime siano ormai un sottinteso irrilevante. Saranno meno dei morti di fame e sete conteggiati a Johannesburgh ma saranno freschi e premeditati. La mia generazione è convinta di aver vissuto in un secolo tragico ma può dirsi fortunata, il genocidio era in fondo ancora episodico e circoscritto e non ancora duraturo e pianificato su scala planetaria.