La guerra dimenticata

La guerra che incendia ilMedio Oriente fa ogni giorno le sue vittime, militari e civili, vecchi e bambini, donne e uomini. E’ una guerra che spaventa perché è difficile che possa finire lì dove è nata. Qualcuno pensa alla Serbia del 1914. Altri osservano che Afghanistan, Iran sono il luogo storico di scontri micidiali. In ogni modo siamo in una guerra guerreggiata che ogni giorno fa le sue vittime e che fa le aperture della stampa quotidiana, dei telegiornali e via di seguito. Il punto è che questa guerra guerreggiata mette in ombra un’altra guerra – meno «eclatante» ma non meno rilevante – quella del lavoro che ogni giorno fa le sue vittime: in Italia circa 1.200 vittime l’anno (nel 2005 i morti sul lavoro sono stati 1.195). Ieri a Terracina, folgorati da una scarica da 20.000 volt sono stati uccisi Silvano Panozzo di 52 anni, titolare di una mini impresa edile e Lucian Bodga, un giovane immigrato rumenochenonaveva ancoracompiuto 16 anni. Questi morti – dobbiamoriconoscerlo – non fanno grandi titoli sui giornali, (spesso non si dà neppure la notizia o finisce in «breve ») e nonci sono affatto manifestazioni celebrative, tricolori e pubbliche cerimonie. Non ci sono neppure scontri in Parlamento e all’interno dei partiti tra chi ritiene un costo necessario questimorti e chi è contro. No, questimorti rientrano nella fisiologia della vita quotidiana, dei meccanismi della produzione e dello sviluppo, quasi come i calli sulle mani di chi lavora. Ma se le cose stanno così, se tutti noi finiamo col considerare normale che ogni giorno due o tre persone muoiano per «incidenti sul lavoro», tutto questo non dice un gran bene su di noi e sulla nostra supposta civiltà. Quasi ci dice che abbiamo rimosso il lavoro come fattore fondativo della società e, di conseguenza, abbiamo rimosso lo sfruttamento (chi ne parla oggi?) e anche le morti violente che di questo sfruttamento, storicamente dato, sono inevitabile conseguenza. E vale ricordare che con il governo Berlusconi gli Ispettori del lavoro (che dovrebbero vigilare sulle condizioni in cui si esercita il lavoro) da organismi di controllo sono stati ridimensionati a organismi di consulenza: non potere di controllo, ma di consiglio, suggerimento, quasi sempre inascoltato. E’ giusto, sacrosanto battersi contro le guerre, non solo – aggiungo – dichiarandosi contro,ma anche cercando di operare sulle cause che portano alla guerra e che hanno nei meccanismi del tanto esaltato mercato le loro radici più profonde e vere. Ma tutto questo non deve farci dimenticare -comedimentichiamo troppo spesso- la guerra interna, quella del lavoro, che ogni giorno fa due o tre morti, per i qualinon ci sono bandiere, né pubbliche celebrazioni. Che viene quasi considerata un costo da pagare a non so quale «progresso». E viene il dubbio che questa insensibilità alla guerra interna del lavoro e ai suoi morti quotidiani possa renderci più passivi (o accomodanti) anche rispetto alle guerre guerreggiate. Tutto, in qualche modo, si tiene. Così ci dicevano i vecchi.