La guerra che non c’era

L’11 settembre 1973, Pinochet e gli altri tre ufficiali traditori che comandavano la Marina militare, le Forze Aeree e l’arma dei Carabinieri, dichiararono di essere in guerra, che il Paese era in guerra contro il marxismo-«lininismo» – come ripeteva Pinochet vestito con l’uniforme da combattimento -, e le orde militari iniziarono ad uccidere, torturare, far sparire donne e uomini cileni, oltre a rubare i beni di tutti coloro che cadevano nelle loro mani. Quando i morti erano già centinaia, la giustizia cilena fu cieca, sorda e muta. La maggioranza dei membri della Corte Suprema di Giustizia, il più alto tribunale cileno erano – e molti lo sono ancora – ultraconservatori, aperti simpatizzanti del fascismo, ed erano uniti da un odio ancestrale nei confronti della classe operaia cilena.

Quando i morti e i desaparecidos erano ormai migliaia, i giudici cileni decretarono che era tutta un’invenzione dei nemici della patria.

I giudici cileni, signori della forca e della frustra, hanno sempre sognato che il Paese si reggesse come ai tempi della colonia: i signori delle quaranta famiglie padrone del Paese dovevano comandare, e il resto dei cileni obbedire. Su quella base iniqua si legiferava, su quella teoria nauseabonda in Cile si «faceva giustizia».

I giudici cileni, coloro che furono membri della Corte Suprema durante i 16 anni di dittatura, furono tutti prevaricatori, senza eccezione, furono complici delle torture, delle uccisioni, della sparizione di persone.

Sapevano perfettamente quello che stava facendo la soldatesca, e non fecero nulla, perché anche loro dichiararono che il Paese era in guerra. Chi erano questi giudici? Latifondisti o parenti dei grandi latifondisti che odiavano l’idea di una riforma agraria.

Omosessuali omofobi che sognavano i campi di concentramento per i gay e le lesbiche; cattolici che andavano a messa ogni giorno, ognuno con una foto insieme al Papa sulla scrivania, ovvero una banda di degenerati che avevano in mano il potere di negare la giustizia ai poveri, agli umiliati, a coloro che sudavano per pagare i loro lussi e capricci.

Furono loro ad avallare lo stato di guerra, furono loro ad identificare «il nemico», cioè i militanti della Unidad popular, i Comunisti, i Socialisti, i militanti del Mir, i preti progressisti, i giovani e persino i ragazzini. E il nemico bisognava distruggerlo.

Il 5 ottobre 1973, Ricardo Gustavo Riseco Montoya, uno studente di 22 anni dell’università tecnica giunse a Angol, nel Sud del Cile, per avere notizie di suo padre, un dirigente comunista arrestato dai militari e che si presumeva che fosse nella caserma del reggimento «Húsares de Angol». Alle 4 del pomeriggio di quel giorno, lo studente fu arrestato per strada, sotto gli occhi di molte persone, da soldati dell’esercito cileno.

Lo fecero salire a spintoni su un camion e lo portarono via. Un’ora dopo, quando era iniziato il coprifuoco, quelle ore funeste in cui solo gli assassini potevano muoversi per le strade del Cile, la pattuglia militare che arrestò lo studente incontrò un ragazzino di 15 anni, Luis Cotal Álvarez, che camminava frettoloso verso casa. A spintoni lo fecero salire sul camion e scomparvero.

Trent’anni più tardi si seppe che quella pattuglia militare li aveva portati fino a un magazzino di materiali edili; là furono sottoposti a ogni genere di tortura, e infine li uccisero a colpi di arma da fuoco. I loro corpi furono occultati, nessuno li vide, non ci fu veglia funebre, né funerale, ma, secondo la versione ufficiale dell’esercito cileno, versione avallata dalla Corte Suprema di Giustizia, lo studente e il ragazzino erano stati fucilati, dopo un giudizio militare, perché i due erano guerriglieri che avevano cercato di far saltare la caserma degli «Húsares de Angol».

Uno studente di 22 anni e un ragazzino di 15 avevano attaccato gli oltre duemila uomini armati del reggimento «Húsares de Angol».

L’uomo che ordinò che fossero torturati e uccisi, e che in seguito inventò la storia dell’attacco alla caserma, era il colonnello dell’esercito Joaquín Rivera González. Si chiama ancora così colui che diede gli ordini ai torturatori e agli assassini di uno studente e di un ragazzino.

Angol è nel profondo Sud del Cile, i suoi abitanti perlopiù sono mapuches. Nessuno ricorda che il reggimento sia mai stato attaccato. Ma i giudici della Corte suprema di giustizia cilena dissero allora che quello studente e quel ragazzino erano «il nemico», e che pertanto era legale, secondo le leggi marziali, che, dopo esser stati arrestati e giudicati da una corte marziale, fossero stati fucilati. Ma non dissero quando era avvenuto l’attacco, non dissero quando e dove si era tenuto il processo, né se avevano avuto difensori, e non indicarono nemmeno quando erano stati fucilati e che cosa ne fu dei corpi.

E ad Angol, nel profondo Sud del Cile, nessuno ricorda la fucilazione di uno studente e di un ragazzino.

Tuttavia, i genitori, i famigliari dello studente e del ragazzino, aiutati da organizzazioni di difesa dei diritti umani, sono riusciti, trent’anni dopo, a far sì che il colonnello Joaquín Rivera González venisse processato per i delitti di sequestro di persona e omicidio. Sul criminale pesava una possibile condanna a 10 anni di carcere che doveva essere confermata dalla Corte Suprema di Giustizia. Dieci anni di carcere per aver sequestrato, torturato, ucciso, fatto sparire uno studente di 22 anni e un ragazzino di 15.

Ma la Corte suprema di giustizia ha giudicato che quei delitti non sussistono, dato che i soldati sequestrano, torturano, uccidono, fanno sparire i corpi, solo quando c’è una guerra. Noi cileni abbiamo appena saputo che, nonostante tutto quello che ci è stato detto per sedici anni, non c’è stata nessuna guerra, nessuna, che l’esercito non è mai stato in guerra e che pertanto il colonnello Joaquín Rivera González è innocente come un bambino appena nato.

La sentenza di assoluzione dei giudici della Corte suprema è degna dell’enciclopedia universale dell’infamia: «Commettere azioni contro l’integrità fisica delle forze armate, dei Carabinieri e della popolazione in generale, la cui veracità non è in discussione (cioè lo studente e il ragazzino attaccarono la caserma degli Húsares de Angol), non è, a giudizio di questa Corte, una ragione sufficiente per stabilire che in Cile esistesse un conflitto armato non internazionale, nei termini indicati dall’articolo 3 della Convenzione di Ginevra, il giorno 5 ottobre 1973, data in cui i fatti vennero perpetrati».

Secondo la Convenzione di Ginevra i crimini di guerra non vanno in prescrizione. Secondo i giudici cileni, fra l’11 settembre e il 4 ottobre 1973 c’è stata la guerra, e anche a partire dal 6 ottobre 1973 fino alla fine del 1989 c’è stata la guerra. Lo studente e il ragazzino furono assassinati il giorno 5 ottobre, l’unico giorno in cui la guerra non c’è stata.

Questa sentenza della giustizia cilena è una burla al senso universale della giustizia. Non può essere ignorata. Dobbiamo fare qualcosa. Da queste pagine invito a non comprare prodotti cileni, e a sputare ogniqualvolta passiamo di fronte a un’ambasciata cilena.

trad. Marcella Trambaioli