L’aviazione statunitense ha effettuato in una settimana «330 missioni di appoggio aereo ravvicinato alle truppe Isaf in Afghanistan», cui si aggiungono 60 missioni di intelligence, sorveglianza e riconoscimento compiute da aerei statunitensi e britannici: lo comunica la US Air Force.
Partecipano ai raid, oltre a cacciabombardieri F-15 ed F-16, gli F/A-18 Super Hornets, che decollano dalle portaerei Dwight D. Eisenhower e John C. Stennis, dislocate con i rispettivi gruppi di battaglia nell’area di operazioni della 5a flotta (comprendente Golfo, Mar Rosso e parte dell’Oceano Indiano). Ciascuna ha a bordo circa 80 aerei di vario tipo.
I cacciabombardieri, che effettuano raid in Afghanistan e Iraq, vengono riforniti in volo da aerei cisterna statunitensi, britannici e francesi: in una settimana hanno effettuato 260 sortite, fornendo agli aerei in volo una quantità di carburante equivalente a quella di 432 grosse autocisterne.
Oltre ai cacciabombardieri vengono impiegati in Afghanistan i bombardieri pesanti B-1B del 34th Expeditionary Bomb Squadron, che decollano da una base situata nell’Asia sud-occidentale.
Il B-1B è un bombardiere strategico per l’attacco nucleare, utilizzato anche con bombe non-nucleari. Grazie alle tre stive, che gli permettono di trasportare un carico bellico maggiore di quello di un B-52, può sganciare in una missione 24 Gbu-31 Jdam a guida Gps da 2.000 libbre (quasi una tonnellata), 84 Mk-82 da 500 libbre, 30 bombe a grappolo di vario tipo e decine di altre munizioni.
Grazie alla sezione di coda a guida Gps, fabbricata dalla Boeing e perfezionata dalla Alenia Marconi Systems, le bombe Jdam possono essere sganciate simultaneamente contro più obiettivi, anche da oltre 60 km di distanza.
Quali obiettivi colpiscono i cacciabombardieri e i bombardieri pesanti nei loro raid giornalieri in Afghanistan? Anche questo viene ufficialmente documentato dall’aeronautica statunitense.
Il 7 marzo, intervenuti «in appoggio all’operazione Achille» nei pressi di Garmsir, F-15E hanno sganciato bombe a guida di precisione Gbu-12 e Gbu-38 da 500 libbre su «edifici in cui si sapeva vi fossero forze nemiche», mentre un B-1B ha sganciato alcune Gbu-31 da 2000 libbre.
Il 9 marzo, gli aerei hanno colpito «un veicolo con a bordo sospetti terroristi, fermatosi in un’area isolata per incontrare un veicolo con a bordo altri sospetti terroristi». Il 12 e 13 marzo, presso Sangin, B-1B, F-15E e F/A-18 Super Hornets hanno sganciato bombe Gbu-38 contro «edifici nemici», tra cui uno che «a quanto riferito, conteneva lanciarazzi», e contro l’entrata di «una caverna sospettata di essere una postazione nemica».
Quanti degli obiettivi «sospetti», distrutti dai bombardieri, sono postazioni militari talebane e quanti sono invece solo case con dentro intere famiglie o camion carichi di civili? Nessun comunicato ufficiale lo dice.
In realtà, la guerra aerea condotta in Afghanistan sta provocando un crescente numero di vittime tra la popolazione. Come quando, nella provincia di Kapisa, sono stati uccisi da un bombardamento aereo cinque donne, tre bambini e un anziano. Il portavoce Nato ha subito dichiarato che «l’Isaf non è implicata». Pochi giorni dopo, però, un comunicato ufficiale (11 marzo) informava che le forze Isaf avevano «distrutto una remota postazione di estremisti talebani, richiedendo l’appoggio aereo ravvicinato con bombe di precisione».
Il fatto che l’Italia non abbia in Afghanistan aerei che bombardano, non la rende meno responsabile delle stragi di civili. Ufficiali italiani fanno parte del comando Nato/Isaf, che indica all’aviazione statunitense gli obiettivi da colpire. E i soldati italiani in Afghanistan, ufficialmente «non combattenti», vengono ora usati per «impermeabilizzare» la frontiera tra le province occidentali e quella meridionale, così da non far sfuggire nessuno, combattente o civile, ai rastrellamenti dell’operazione Achille, mentre dal cielo piovono bombe da una tonnellata.