La Guantanamo di Israele

Non ha un nome ma soltanto un numero di identificazione: 1391. Si trova in una località nella parte centrale del paese, non lontano da una superstrada. Di più non si sa, o meglio, non è consentito riferire altri particolari perché ufficialmente la prigione 1391 non esiste. Non è segnata neppure sulle mappe ufficiali di Israele. Le foto scattate da satelliti e aerei nel punto dove è situata la prigione mostrano solo un puntino bianco. E’ la «Guantanamo» di Israele, un carcere di massima sicurezza rimasto segreto per una ventina di anni di cui persino ex ministri e alti ufficiali ignoravano l’esistenza, o almeno così sostengono. A svelare questo segreto che apre un nuovo inquitetante capitolo sulla violazione dei diritti umani nello stato che si definisce l’unica democrazia del Medioriente, è stato il più autorevole dei quotidiani israeliani, Haaretz. Nei giorni scorsi Haaretz ha pubblicato la prima parte di un lungo e dettagliato servizio firmato dal giornalista Aviv Lavie che per professionalità e coraggio dimostrato merita un plauso. Dell’esistenza di questa prigione era all’oscuro, ad esempio, l’ex ministro della giustizia (ai tempi di Yitzhak Rabin) David Libai. Un altro ex ministro della giustizia, Dan Meridor, invece ha ammesso di aver sempre saputo della 1391 ma di non averla mai visitata. Nei giorni scorsi la parlamentare del Meretz (sinistra sionista) Zahava Gal-On ha chiesto di poter entrare nella prigione ma non è stata ancora autorizzata.

«I detenuti, tenuti bendati e ammanettati in celle buie, non sanno dove si trovano, non possono ricevere visite», ha scritto Lavie nel suo servizio sottolineando che persino la Croce rossa internazionale non ha accesso in questo luogo segreto in violazione di accordi internazionali. Nel carcere di massima sicurezza 1391, situato al centro di una base militare dell’esercito israeliano, i prigionieri vivono in celle di 2,5×2,5 metri. Solo i personaggi «illustri» hanno diritto a più spazio (2,5×4 metri). Le celle di isolamento invece sono grandi non più di 1,5×1,5 metri. I gabinetti sono un lusso, un buco nel pavimento è il water migliore che il carcere può offrire. I detenuti ogni giorno hanno diritto ad un’ora all’aria aperta. Il resto del tempo lo passano in locali senza finestre e con la luce artificiale. I pasti sono simili a quelli dei soldati di guardia. Tre volte al giorno un militare bussa alla porta delle celle, i detenuti si coprono il capo e il volto con un sacco e alzano le mani verso l’alto, poi ricevono il cibo. Gli interrogatori sono durissimi e affidati a uomini dell’intelligence militare (la famigerata unità 504 che in passato ha operato soprattutto in Libano) anche se lo Shin Bet (il servizio segreto interno) ha fatto ampio uso di questo carcere segreto da quando è cominciata la nuova Intifada. Le testimonianze raccolte da Lavie tra alcuni dei soldati che hanno prestato servizio nella prigione 1391, confermano abusi e torture.

Ma chi sono i prigionieri? Questo è uno degli interrogativi ai quali il servizio pubblicato da Haaretz risponde solo in parte. Non è ben chiaro chi siano i palestinesi che vi sono rinchiusi, forse sono i capi di cellule armate arrestati nei Territori occupati nei tre anni di Intifada. E’certo invece che la prigione 1391 ha ospitato e ospita ancora prigionieri libanesi, in particolare lo sceicco Abdel Karim Obeid e l’ex comandante militare sciita Mustafa Dirani. Entrambi sono stati rapiti in Libano rispettivamente nel 1989 e nel 1994 allo scopo di ottenere, in cambio della loro liberazione, informazioni sulla sorte o il rilascio di soldati israeliani scomparsi in azione, a cominciare dal pilota navigatore Ron Arad. Obeid, un leader spirituale con grande seguito tra gli sciiti libanesi, ha lasciato la sua cella la prima volta dopo 13 anni per ragioni di salute e per ascoltare le decisioni della Corte suprema sulla sua richiesta di scarcerazione (respinta). A far compagnia a Obeid è stato per ben 11 anni Hashim Fahaf, un giovane che si trovava per caso nella abitazione dello sceicco la sera del suo rapimento e che per ritornare a casa (assieme ad altri 18 libanesi mai processati) ha dovuto aspettare 11 anni e una sentenza della Corte suprema israeliana.

Dirani e Obeid non sono più nella 1391. Si trovano ora nella prigione di Ashmoret, nei pressi di Kfar Yona a nord di Tel Aviv. La vicenda di Dirani, in modo particolare, ha superato il livello politico e diplomatico per diventare uno dei casi più gravi di violazione di diritti umani e abusi gravissimi subiti da un detenuto in Israele. Dirani ha accusato uno degli ufficiali responsabili degli interrogatori, noto con il nome di George, di averlo fatto violentare da un soldato e di averlo torturato ferocemente fino ad arrivare al punto da inserirgli un bastone nel retto. George ha respinto queste accuse ma diversi soldati che hanno prestato servizio nella prigione segreta hanno riferito che era pratica comune costringere i prigionieri a spogliarsi e minacciarli di violenze sessuali. Della vicenda si sta ora occupando la magistratura israeliana. George comunque è stato costretto a lasciare l’esercito. Una «punizione» che i suoi commilitoni, ha scritto Haaretz, hanno giudicato «eccessiva» poiché «non è giusto» che a pagare sia soltanto una persona per ciò che hanno pianificato e messo in atto molti altri.

INTERVISTA
«Va fatta piena luce sul carcere fantasma»
Parla Yael Stein, responsabile dell’associazione per i diritti umani Betselem
MI. GIO – 27.8.2003
GERUSALEMME
La notizia dell’esistenza di una prigione segreta dove abusi e torture a danno dei prigionieri sono pratica quotidiana, ha generato forte preoccupazione e sconcerto tra gli attivisti dei diritti umani in Israele. Sugli interrogativi che pone la scoperta della prigione 1391 abbiamo intervistato Yael Stein, uno dei responsabili di «Betselem», il più noto dei centri israeliani per i diritti umani.

Come è possibile che per 20 anni, in un paese piccolo come Israele, le autorità siano riuscite a tenere segreta l’esistenza di questa prigione?

E’difficile rispondere a questa domanda ma certo le autorità hanno fatto il possibile per tenere l’opinione pubblica israeliana e il resto del mondo all’oscuro. La rivelazione fatta da Haaretz ci ha lasciato senza fiato, in un attimo abbiamo capito che dobbiamo moltiplicare i nostri sforzi e vigilare con più attenzione per garantire una maggiore tutela dei diritti umani in questo paese.

Perché una autorità di governo decide di creare un carcere segreto?

Questo è l’aspetto più inquietante: tutto era stato studiato per impedire che si sapesse dell’esistenza di questa prigione anche se le persone coinvolte non sono state poche. Un paese che si definisce democratico non può avere centri di detenzione segreti. E’evidente che tenendo segreta l’esistenza di una prigione si è voluta tenere nascosta agli occhi del mondo la pratica della tortura e di altri abusi. Una prigione segreta significa poter fare ciò che si vuole senza avere controlli e, soprattutto, evitando le proteste e le denunce di chi lavora per garantire il rispetto dei diritti umani. Per questo siamo molto preoccupati, perché è avvenuto qualcosa di estremamente grave che ci impone di alzare il livello di guardia. Dobbiamo ripensare la nostra attività cercando di tenere presente che la violazione dei diritti umani assume forme sempre più sofisticate

Avete in mente delle iniziative?

Ci stiamo coordinando con varie associazioni e centri dei diritti umani in modo da avviare iniziative volte a fare piena luce su questo carcere speciale. Sappiamo che è stata presentata una petizione che i giudici stanno esaminando. Credo che sia importante che i parlmentari o rappresentanti dei diritti umani abbiano accesso al più presto all’interno di questa prigione allo scopo di accertare le condizioni di vita dei detenuti e verificare se, come è scritto da Haaretz, viene praticata la tortura. E’importante che ciò avvenga al più presto anche per rendere noti i nomi di prigionieri che non hanno più potuto comunicare con le famiglie. Subito dopo bisognerà agire affinché questa prigione venga chiusa.