Di seguito un autorevole contributo di Domenico Gallo * magistrato e rappresentante di Magistratura Democratica in seno al Coordinamento Nazionale di “SALVIAMO LA COSTITUZIONE”, per l’Ernesto on line.
Segnaliamo la presenza in libreria, tra qualche giorno, del libro “Salviamo la Costituzione”, curato dallo stesso Domenico Gallo e da Franco Ippolito, Presidente di Magistratura Democratica. Alla stesura del libro hanno contribuito anche Luigi Ferrajoli, Raniero La Valle, Ignazio Juan Patrone e Fabrizio Clementi. Un’approfondita presentazione del libro, utilissimo per comprendere il disegno antidemocratico della riforma costituzionale del centrodestra e dunque per organizzare una mobilitazione politica consapevole per il no al referendum, è presente nella sezione “In difesa della Costituzione” del nostro sito.
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1) La grande riforma, questa sconosciuta
Il 18 novembre del 2005 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il disegno di legge costituzionale denominato “Modifiche alla Parte II della Costituzione”, approvato dal Parlamento con maggioranza inferiore ai due terzi e quindi destinato ad essere definitivamente approvato o rigettato dal popoli italiano attraverso il referendum, che dovrebbe svolgersi nel mese di giugno dell’anno corrente.
Si tratta della riforma più profonda ed inquietante approvata dalla maggioranza di centro-destra nel corso della legislatura che ormai volge al termine, ma nello stesso tempo della riforma più sconosciuta ed oscura. Per quanto i lavori del Parlamento si svolgano alla luce del sole, la divulgazione operata dai mass media ha nascosto alla generalità dei cittadini italiani persino l’oggetto della riforma, alla quale è stato appioppata la denominazione di “devolution”, un appellativo riduttivo e falsante. Quando una riforma della Costituzione riscrive 50 articoli sugli 81 (effettivi) che compongono la seconda parte, vuol dire che è stato sostituito l’intero ordinamento democratico vigente, che i costituenti hanno prefigurato perché fosse funzionale ai valori e principi affermati nella I Parte, con un nuovo ordinamento. Tale nuovo ordinamento, in ogni caso, non è, e non potrebbe essere, coerente con la I Parte, se non altro perché realizzato sotto la spinta di orientamenti politici e culturali profondamente differenti da quelli che avevano animato i Costituenti, a cominciare dall’antifascismo.
2) L’Antifascismo nella Costituzione italiana e la sua sovversione con la riforma
Sulla questione dell’antifascismo occorre essere chiari. La Costituzione italiana del 1948 è una costituzione compiutamente antifascista, non perchè è stata scritta da antifascisti desiderosi di vendicarsi dei lutti subiti; al contrario, per voltare definitivamente pagina rispetto alla triste esperienza del fascismo e della guerra, i costituenti hanno sentito il bisogno di rovesciare completamente le categorie che caratterizzano il fascismo. Come il fascismo era alimentato da spirito di fazione ed assumeva la discriminazione come propria categoria fondante (sino all’estrema abiezione delle leggi razziali), così i costituenti hanno assunto l’eguaglianza e l’universalità dei diritti dell’uomo come fondamento dell’Ordinamento. Come il fascismo aveva soppresso il pluralismo, perseguendo una concezione totalitaria (monistica) del potere, così i costituenti hanno concepito una struttura istituzionale fondata sulla divisione, distribuzione, articolazione e diffusione dei poteri. Come il fascismo aveva aggredito le autonomie individuali e sociali, così i Costituenti, le hanno ripristinate, stabilendo un perimetro invalicabile di libertà individuali e di organizzazione sociale. Come il fascismo aveva celebrato la politica di potenza, abbinata al disprezzo del diritto internazionale ed alla convivenza con la guerra, così i Costituenti hanno negato in radice la politica di potenza, riconoscendo la supremazia del diritto internazionale e ripudiando le nozze antichissime con l’istituzione della guerra.
L’Antifascismo della Costituzione non sta nella XII disposizione transitoria e finale, che vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista, norma ispirata ad una contingenza storica, ma sta nei fondamenti e nell’architettura del sistema.
Tuttavia se i principi fondamentali della Costituzione sono antitetici rispetto a quelli proclamati o praticati dal fascismo, è l’architettura del sistema (cioè la concreta articolazione dell’ordinamento democratico) che fa la differenza, ed impedisce che, ove mai giungano al governo forze politiche caratterizzate da cultura o aspirazioni antidemocratiche (come, purtroppo, è avvenuto nel nostro paese nel 1994 e nel 2001), queste forze possano realizzare una trasformazione autoritaria delle istituzioni, aggredendo il pluralismo istituzionale (per es. l’indipendenza della magistratura) o il sistema delle autonomie individuali e collettive (libertà di espressione del pensiero, libertà di associazione, diritto di sciopero, etc). La Costituzione, insomma, rende impossibile ogni forma di “dittatura della maggioranza”. Proprio per questo nell’ultimo quindicennio da un vasto arco di forze politiche (non soltanto dalla maggioranza di centro-destra attualmente al governo) la Costituzione è stata vissuta come un impaccio, come una serie di fastidiosi vincoli, di cui sbarazzarsi per restaurare l’onnipotenza della politica e restituire lo scettro al Sovrano (vale a dire al decisore politico).
Ridotta all’osso è questa la questione centrale che ha animato i tentativi di grande riforma della Costituzione che sono stati praticati nel tempo sino a sfociare nella riforma globale della II Parte della Costituzione, approvata dalla maggioranza di centro-destra ne novembre 2005. Non si tratta, pertanto, di riforma, ma di sovversione. In questo processo il primo passo è stato rappresentato dalla delegittimazione dell’antifascismo, operata nelle forme più svariate.
3..Le linee di fondo della riforma: la modifica della forma di governo.
Il cuore della riforma della II parte della Costituzione non è la modifica della forma di Stato, operata attraverso la frantumazione del principio supremo dell’unità della Repubblica, con l’introduzione della c.d. “devolution”, e l’invenzione di un apparente Senato federale, bensì la modifica della forma di Governo.
La forma di Governo è il cuore di ogni ordinamento democratico. La controriforma opera un vero e proprio trapianto di cuore, sostituendo la forma di governo della Costituzione del 1948, basata – come generalmente avviene nelle democrazie occidentali – sulla centralità del Parlamento (e della rappresentanza) con una inusitata forma di governo, basata sulla prevalenza del Capo del Governo sullo stesso Governo e sulle Assemblee Parlamentari. Una forma di governo non assimilabile a nessun altro ordinamento di democrazia occidentale, ma non ignota nel nostro paese, in quanto profondamente rassomigliante a quella vigente nell’epoca fascista Queste le linee di fondo del paradigma prefigurato dalla controriforma della Costituzione:
– il voto degli elettori costituisce, nella sostanza, la vera “fase genetica” della formazione dell’Esecutivo (democrazia dell’investitura);
– il Presidente della Repubblica è chiamato a svolgere una mera funzione di “ratifica” di una scelta (sostanzialmente) popolare, che ha ad oggetto la designazione del Primo ministro;
– il sistema è inteso a garantire la stabilità dell’Esecutivo e della collegata “maggioranza di indirizzo, nonché la prevalenza del Capo dell’Esecutivo sulla sua stessa maggioranza”;
– la Camera dei deputati viene divisa in due corpi separati, i deputati della maggioranza e quelli dell’opposizione, ai quali viene precluso (per norma costituzionale) di partecipare ai poteri di indirizzo politico e di soluzione delle crisi;
– il Senato federale è svincolato dal rapporto di fiducia ed è sottratto allo scioglimento, ma – in talune ipotesi – viene assoggettato alla volontà prevalente del Primo Ministro;
– al posto del Presidente del Consiglio dei ministri – primus inter pares, vi è un Primo ministro che determina l’indirizzo del Governo e sceglie (e revoca) i Ministri.
A ben vedere questa inusitata forma di governo, istituisce una sorta di democrazia dell’investitura, che snatura profondamente il sistema della rappresentanza politica, che è l’architrave su cui si fonda il principio democratico (con ciò rompendo l’equilibrio fra la I e la II parte della Costituzione). Con le elezioni politiche il popolo non istituisce più un’assemblea di propri rappresentanti che deve concorrere, con un Governo che goda della fiducia dei rappresentanti, a determinare l’indirizzo politico, ma conferisce ogni potere nelle mani di un Capo politico, elegge un sovrano e la sua Corte. Il Parlamento (la Camera dei deputati) viene trasformato in un consesso di “consiglieri del Principe” poiché i parlamentari possono svolgere le loro funzioni soltanto se in sintonia con i desideri del Principe, altrimenti vengono mandati via. Per questo i deputati dell’opposizione, che consiglieri del Principe non lo sono (e non lo possono diventare) non contano. Quando il Parlamento si trovi ad affrontare una situazione di crisi o di emergenza (cioè proprio nel momento in cui sarebbe necessario per la tutela del bene comune, il superamento di ogni schema di partito o di fazione), ai parlamentari dell’opposizione è precluso di partecipare alla soluzione della crisi, fino al punto che il loro voto, anche se espresso, non viene conteggiato. Nel giugno del 1924, dopo l’assassinio di Matteotti, i parlamentari dell’opposizione abbandonarono la Camera e si ritirarono sull’Aventino. Oggi l’Aventino è stato “costituzionalizzato” e diventa obbligatorio per tutti i deputati dell’opposizione, che – per disposizione costituzionale – vengono tenuti fuori dalle scelte del Parlamento.
In definitiva, ci troviamo di fronte ad una forma di governo unica al mondo. Essa – come ha osservato Leopoldo Elia – “ costituisce un unicum nel panorama del diritto costituzionale comparato: una forma di governo atipica e contrastante con i principi del costituzionalismo perché realizza una concentrazione di poteri in una sola persona senza precedenti, tale da far degenerare la stessa forma di Stato democratico rappresentativo. Questo risultato si raggiunge ibridando istituti classici della forma di governo parlamentare, quali il rapporto fiduciario ed il potere di scioglimento della camera politica, con le norme “antirabaltone”, simul stabunt, simul cadent . Da questo incrocio nasce un sistema a tenuta stagna, a circolo chiuso, che non lascia aperto nessuno spiraglio di dialettica politica seria all’indomani delle elezioni. Nel lungo intervallo di legislatura si realizza in pieno l’affermazione di Rousseau, secondo cui il popolo inglese è libero soltanto il giorno in cui vota, mentre è schiavo negli altri giorni.” In effetti il principio ispiratore che guida le profonde modifiche dell’ordinamento introdotte con la controriforma della Costituzione è molto semplice, ed anche molto antico: il principio del Capo.
Quando si usa una parola straniera per qualificare la riforma, denominandola “devolution” indubbiamente si commette una forzatura ed una falsità. Se proprio si vuole utilizzare una parola straniera per qualificare le novità introdotte dalla riforma, non è all’inglese che bisogna rivolgersi, ma al tedesco: la parola giusta è “Führerprinzip”.
4. la Devolution; Federalismo all’italiana o sfascio della convivenza nazionale?
Infine qualche considerazione sulla devolution. Due delle materie (l’istruzione e l’organizzazione sanitaria) che la riforma si propone di attribuire alla competenza esclusiva delle Regioni sono quanto mai indicative della ideologia ispiratrice del ‘federalismo’ leghista.
Sono infatti materie che attengono a diritti sociali, quello all’istruzione, il più antico, e quello alla salute, indissolubilmente collegato al diritto alla vita. Per tutti e due questi diritti, le prestazioni da offrire per assicurarne il godimento, non possono subire differenziazioni perché violerebbero il principio di eguaglianza e porrebbero in discussione la loro stessa effettività. Imporre l’attribuzione di queste materie alla legislazione esclusiva delle Regioni comporta la possibilità – per nulla astratta- di una loro differenziazione, a secondo degli standards politici e socio-economici di ciascuna Regione. L’altra materia che si vuole attribuire alla competenza esclusiva delle Regioni è la polizia locale, che nonostante le precisazioni introdotte dalla Camera in seconda lettura, lascia il dubbio che non si tratti solo di polizia amministrativa, in quanto la riforma autorizza le Regioni ad istituire dei veri e propri corpi di polizia, cioè a creare una polizia regionale che attualmente, per fortuna, non esiste, lasciando campo libero alle Regioni per la regolazione di questi nuovi corpi.
Se la riforma del Titolo V della Costituzione dovesse andare in vigore, si verificherebbe la moltiplicazione dei sistemi sanitari e scolastici e la diversificazione su base regionale dei regimi giuridici di accesso alle relative prestazioni. In questo modo intaccata la stessa idea di uguaglianza “giuridica” dei cittadini, sancita dal primo comma dell’art.3 della Costituzione e relegato al rango di morta utopia il processo di realizzazione dell’eguaglianza di fatto delineato dall’art. 3 capoverso della carta. Si pensi, per esempio, per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, alla possibile previsione di priorità di accesso per i residenti (rispetto ai non residenti) a centri sanitari di eccellenza a prescindere dalla oggettiva gravità delle patologie lamentate o, ancora, all’introduzione di sistemi di pagamento – o di contribuzione – fortemente differenziati esclusivamente sulla base del criterio della residenza o meno nella regione dei pazienti. Ed analoghi scenari potrebbero verificarsi sul terreno dell’istruzione, aggravati dalle forme di diversificazione culturale su base regionale rese possibili dal potere delle Regioni di definire la “parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione” ( art. 117, comma 4, lett. c).
5. Il referendum costituzionale: una scelta politica suprema.
In definitiva la riforma mira alla liquidazione della Costituzione del 1948 e con essa a distruggere la Repubblica costituzionale costruita in Italia come alternativa storica al fascismo.
Ma la Costituzione è la casa comune, che ha consentito al popolo italiano negli ultimi cinquant’anni di affrontare le tempeste della Storia, salvaguardando, nell’essenziale, la pace, la libertà, i diritti fondamentali degli individui e quelli delle comunità. Essa non può essere demolita e sostituita a cuor leggero. La scelta sulla Costituzione è una scelta politica suprema nella quale si mette in gioco il destino e l’identità stessa di un popolo organizzato in comunità politica.
Per questo il referendum che si svolgerà nel giugno del 2006 è un referendum istituzionale, paragonabile soltanto a quello del 2 giugno 1946 nel quale il popolo fu chiamato a scegliere fra Monarchia e Repubblica. Anche questa volta il popolo sovrano sarà chiamato a scegliere fra due ordinamenti istituzionali profondamente differenti e quindi a compiere una scelta la cui posta è la democrazia. Tuttavia, questa volta, gli elettori si troveranno di fronte ad una scelta capovolta: non saranno chiamati ad abbandonare una Monarchia per insediare un ordinamento repubblicano, ma saranno chiamati ad abbandonare un ordinamento repubblicano per insediare un nuovo Sovrano, sia pure elettivo. Orbene, per sconfiggere questo progetto bisogna conoscerlo. Il primo passo che bisogna compiere, la prima forma di mobilitazione è la divulgazione della conoscenza. I cittadini italiani devono essere messi in condizione di ri-conoscere i valori della Costituzione italiana, nata dalla resistenza, superando l’analfabetismo politico di ritorno prodotto da una politica miserabile, per poter meglio comprendere il disvalore della sua controriforma.