La grande depressione del 1929

L’evento che ha caratterizzato la fine della prima metà del Novecento è la Grande Crisi del 1929. Ebbene, l’ottobre di 77 anni fa scoppiava tale crisi negli Stati Uniti, proprio negli anni successivi alla Prima Guerra Mondiale. Si può festeggiare un anniversario, ma questo è un ricordo per non dimenticare il passato, con cui si può capire la vita oggigiorno. Inizialmente, il costante sviluppo economico degli americani era dovuto soprattutto alle esportazioni verso l’Europa, le alte speculazioni in Borsa ed un eccesso di ottimismo trasformandosi in un eccesso di offerta rispetto alla domanda dei consumatori, che portò ad una crisi di sovrapproduzione.
Una crisi che aggravò ancora di più l’Europa dopo la Grande Guerra. Ritorniamo ancora indietro nel passato, per capire meglio come avvenne il crollo economico. Ci fu il cosiddetto ‘’Fenomeno Inflattivo’’, ossia la generale e disastrosa perdita di valore delle monete, che colpì in particolare la Germania della ex-Triplice Alleanza. Nel frattempo gli States, ben lontana dalla precaria situazione economica dei paesi europei e divenuti protagonisti, purtroppo, nel contesto della politica internazionale, si andarono sempre più affermando per capacità produttiva, finanziaria ed economica come guida del mondo capitalistico, succedendo alla Gran Bretagna.
Gli statunitensi riuscirono a fare tutto ciò per merito dei ‘’Quattordici Punti’’ di Woodrow Wilson, l’allora presidente democratico del paese a stelle e strisce, che con tale iniziativa condannò le pesanti rivendicazioni di tipo nazionalistico. Nonostante fosse divenuto il difensore degli oppressi e della libertà, il ‘’liberismo’’ wilsoniano, e generale, non risultò efficace, (credo fermamente che il liberismo sia dannoso per un paese) perché comportava l’adesione alle Società delle Nazioni e, quindi, una responsabilità in conseguenza davanti alle controversie ancora presenti nell’immediato dopoguerra. Tali punti non furono i reali interessi del paese nordamericano. Perciò, nelle elezioni del 1920, Wilson fu sostituito dal repubblicano Warren Harding.
Da un estremo all’altro, perché il fu neo-presidente, il primo ad essere votato dalle donne, instaurò una politica conservatrice e isolazionistica, basata sul non-intervento negli affari esteri. Il liberismo non fu comunque toccato, però allo stesso tempo si adottò una politica rigorosa e rigida, ovvero il protezionismo. Una politica al fine di potenziare la propria economia, in che modo? Alzando le tariffe doganali e isolandosi dal resto del mondo, in primis, per ottenere gli ingenti prestiti dall’Europa, in secundis, per reinvestirli in casa ‘’propria’’ al riparo da nuovi conflitti o crisi estere. Le conseguenze portarono ad una serie di provvedimenti contro l’immigrazione straniera, combattendo, così, il comunismo, il cattolicesimo e i neri come scrive Massimo Salvadori. Un’esempio? L’orientamento xenofobo e reazionario si manifestò, non solo con la politica e l’economia, anche con il ritorno prepotente della setta segreta del Klu Klux Klan (costituita nel 1865), e culminò in tutta la sua drammaticità nel processo contro i due anarchici italiani, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, accusati pretestuosamente di rapina e omicidio (1921) e condannati a morte, malgrado l’inconsistenza delle prove a loro carico e le battaglie intraprese in loro difesa nel mondo (ritenuti innocenti solo nel 1977). La legge precedente del proibizionismo del 1919 non servì a molto allo scopo di ‘’gettare acqua sul fuoco’’, anzi provocò ancora più danni.
Ciò non sfavorì ancora la politica economica scelta dallo stato, bensì il successore Calvin Coolidge continuò e l’economia americana decollò. Infatti, si riuscì a superare la crisi di sovrapproduzione tra il 1920 e il 1921. Il livello di merci prodotte, però, era oltre il normale, dunque si sentì l’esigenza di riaprire e ampliare l’economia chiusa degli Usa dopo anni. Le esportazioni ripresero verso tutti gli stati europei, i quali poterono così ottenere i mezzi finanziari per una rapida ricostruzione delle disastrate economie. Questi aiuti finanziari rilanciarono l’economia europea, in modo particolare quella tedesca in virtù del piano Dawes, che propose di fare affluire capitali statunitensi verso la Germania per permettere la ripresa della produttività tedesca e indirettamente degli altri paesi vinti. In questo mondo capitalistico, messa da parte la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa da poco sorta, si venne a formare un enorme giro di affari che nel breve periodo produsse un notevole sviluppo economico, destinato a sfociare in un vero e proprio boom economico; ma che nel lungo periodo, si potrebbe dire, si rivelò fatale. Certo, l’ottimismo dilagante fu eccessivo, e proprio esso portò alla crisi della sovrapproduzione, che si ottiene nel momento in cui non esiste più l’equilibrio tra domanda e offerta nel mercato, invero, nel lungo periodo. A causa di tale produzione (o offerta) smisurata e impossibile da smaltire, il grande benessere del paese si tramutò in ‘’malessere’’ economico per industrie, aziende agricole e banche, le quali furono costrette a chiudere i battenti per fallimento.
Questa sovrapproduzione fu danneggiata soprattutto dalla diminuzione delle esportazioni e produsse un calo delle vendite per le enormi ed ingenti masse di merce prodotta dalle industrie e non solo. Gli operatori economici diminuirono sempre di più la loro domanda sul mercato, portando alla fatidica data del 24 ottobre. Giorno, passato alla storia come il ‘’Giovedì Nero’’, nel quale crollò la Borsa di Wall Street, seguito dall’inevitabile crollo dei prezzi e dei titoli azionari e dalla chiusura di molte fabbriche e banche. La produzione industriale calò del 54%, a causa dei continui fallimenti di industrie e banche, che trascinarono sul lastrico numerose famiglie della borghesia benestante, però anche una parte notevole di lavoratori. Si contarono tra i 6-13 milioni di disoccupati tra il 1931 e il 1933. Tale crisi si propagò a vista d’occhio.
Tutto il mondo si arrivò ad una catastrofe di estrema gravità. In special modo in Italia dove il fascismo aveva stabilito una politica protezionista (l’Autarchia). Il democratico Franklin Delano Roosvelt risollevò la vita economica degli Stati Uniti. Uno dei migliori presidenti che gli americani abbiano mai avuto fu di certo lui, altro che Bush. Nello stesso anno, in cui ascese al potere Hitler (1932), iniziò la sua carica di presidente. Coadiuvato da un gruppo di studiosi, intellettuali e così via, egli elaborò il New Deal (Nuovo Corso). Una politica economica con la quale seppe coraggiosamente applicare un’economia guidata basata sull’intervento dello Stato in contrasto con la legge del mercato.
La ‘’mano invisibile’’ del mercato non potè più garantire da sola il benessere collettivo e la crescita della ricchezza, dunque, occorsero drastici interventi da parte dello stato. Il laissez-faire fu, ed è ancora, un principio di tale politica liberista, secondo Keynes e Marx, che non è di per sé sufficiente a raggiungere la piena occupazione, anzi potrebbe capitare il contrario. Proprio John Maynard Keynes sviluppò una teoria economica, ‘’Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta’’ con la quale sostituì la micro-economia neo-classica con la macro-economia. Attraverso il perseguimento di un elevato livello complessivo di produzione, si potrà realizzare una situazione di piena occupazione, assai difficile. Grazie in gran parte alla teoria keynesiana, le conseguenze della Grande Depressione del ’29 si poterono considerare in buona parte superate intorno al 1936, anno in cui viene rieletto Roosvelt per la sua seconda volta su tre (l’altra nel 1944).
L’America si prospettò di ottenere un ‘’capitalismo più democratico, riformatore e meno individualista’’, sicuramente migliore del precedente, ma ahimé, un sistema di sfruttamento con distinzioni di classe nel quale ancora si vive, è marcio. Abolire la proprietà privata, darà più benessere rispetto a qualsiasi altra forma di liberismo, fisiocratismo, classicismo. Alla fine, l’economia mondiale si salvò, ma il peggio dovette ancora arrivare per merito della sfiducia dello Stato Liberista come vero responsabile morale, e i conseguenti consensi che ottennero i gruppi nazionalisti ed antidemocratici…gli unici che non ne risentirono della medesima furono l’Inghiterra, avente un’economia fondata sulle colonie, e l’Unione Sovietica, chiusa ormai in un sistema socialista. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’asseto dell’economia americana, occidentale e orientale si stabilizzò senza più crisi di tale portata.
Sperando che la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza aumenti e le condizioni di vita dei lavoratori peggiorino (senza offesa) a tal punto di vedere il capitalismo crollare soddisfattamente con l’ausilio della rivoluzione popolare. Noi aspettiamo, perché la crisi del capitale giungerà.