La “Grande bugia” di Giampaolo Pansa

Povero Pansa! Abbiamo letto il suo ultimo libro – La Grande Bugia (editori Sperling & Kupfer) – e, nonostante alcune sue affermazioni circa il suo ritenersi un uomo di sinistra, nonché il riconoscere che la Resistenza ha ragione, vediamo che egli dà voce ai fascisti, specie dopo il 25 aprile, e condanna i comunisti, colpevoli di aver fatto la Resistenza (che, senza i comunisti nemmeno ci sarebbe stata!) e di essere stati i più numerosi in essa.
Egli è poi sicuro che c’è stata la “mattanza” dei fascisti dopo il 25 aprile 1945 e che è stata organizzata sempre dai comunisti. Tutto ciò in nome della verità storica e non della verità dei “vincitori”, che sarebbe la “grande bugia”, propinata agli italiani per oltre sessant’anni! In realtà, se di grande bugia si tratta, è soltanto quella che egli vuole farci credere. Cominciamo, intanto, col capire che cosa è stata la Resistenza. Essa viene da lontano, dagli albori stessi del fascismo e dalla guerra di Spagna, per difendere il governo legittimo dalla ribellione del gen. Franco, aiutato invece da Mussolini e da Hitler.
La Resistenza in quanto tale, nata l’8 settembre del 1943, era cominciata molto prima, dunque, all’inizio della dittatura fascista.
La Resistenza fu, quindi, una guerra di liberazione dal fascismo e, poiché nel frattempo l’Italia era stata invasa dai tedeschi, dai tedeschi. “Guerra di liberazione dai tedeschi e dai fascisti”, più che“guerra civile”, come ad ogni piè sospinto, dice il “pansista” nel suo libro. Egli la definisce “guerra civile” non certo nella nota definizione di Claudio Pavone. Per Pansa fu guerra civile perché gli uni combatterono contro gli altri su di un piano paritetico. Senza torti né ragioni. Ovviamente in quegli anni degli italiani (i partigiani) combatterono contro altri italiani (i “repubblicani” o, spregiativamente, i “repubblichini” della R.S.I.), ma la maggior parte della gente non considerava costoro come italiani, bensì come spregevoli servitori dei tedeschi, i quali, liberato Mussolini dal Campo Imperatore e portatolo a Berlino, gli avevano fatto fondare la “Repubblica Sociale Italiana” (R.S.I.).
Pansa, poi, per tutto il libro se la prende con coloro che lo hanno criticato in precedenza (Giorgio Bocca, Paolo Flores d’Arcais, Kojak, cioè Alessandro Curzi, eccetera), mettendo in luce di trovarsi d’accordo, invece, persino con Marcello Pera, oltre che con Violante e anche col nuovo Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Egli, poi, si sforza di far credere che la Resistenza non fu un fenomeno di massa criticando il libro del compagno Luigi Longo “Un popolo alla macchia” asserendo che la cosiddetta “zona grigia”, ossia quella parte di italiani che stava a guardare, in attesa che la guerra finisse, senza parteggiare né per la Resistenza, né per la R.S.I., era quasi la totalità.
I partigiani combattenti non erano tantissimi: 336.516 secondo i dati trovati da Pansa stesso (pag. 197), che non fornisce i dati numerici dei combattenti della R.S.I. limitandosi a dire (pag. 193) che essa era più forte.
A noi risulta tutt’altro. Ammesso, però, e non concesso, che fosse vero, ciò vuol comunque dire che il consenso di massa al fascismo, che pure c’era stato, era venuto meno. Cioè, la cosiddetta “zona grigia” è la testimonianza che il fascismo era finito per davvero in Italia dopo il 25 luglio e l’8 settembre 1943. Ma il grosso della popolazione era a favore dei partigiani (nonostante qualche spia). E’ certo che se diversi fascisti sono stati giustiziati, anche se a guerra finita, i loro parenti, specie i figli, hanno sofferto atrocemente della loro perdita – come ci racconta Pansa nel suo libro con dovizia di particolari, anche se tutto ciò è intuitivo e, quindi, del tutto superfluo – ma ciò non toglie nulla al fatto che essi erano fascisti. Essi non erano uguali ai partigiani che avevano fatto uccidere e alle persone che avevano denunciato. Non lo sarebbero stati nemmeno se fossero tutti morti. A parte la pietà, appunto, i morti non sono tutti uguali. Chissà se Pansa riuscirà a capirlo.
Vorremmo, qui, ricordare che il compagno Togliatti, ministro di Grazia e Giustizia, allo scopo di ottenere una grande riconciliazione nazionale, fece un’amnistia il 22/6/1946 valida dall’8 settembre 1943 al 18/6/1946 per tutti i fascisti, considerando atti di guerra i loro delitti, purché eseguiti senza particolare “efferatezza”. Molti erano in disaccordo, ma l’amnistia di Togliatti era stata fatta e veniva dal capo riconosciuto dei comunisti italiani. Altro che i comunisti volessero la rivoluzione socialista violenta subito, come vuole farci credere Pansa! Non possiamo escludere che qualcuno l’auspicasse, ma ciò che conta è la collocazione pratica dei comunisti, per la pacificazione, la pace, la democrazia e la libertà, oltre che per il progresso e la giustizia sociale. D’altra parte, che i comunisti aspirassero al socialismo era noto fin dalla loro nascita (1921). Anzi, erano nati proprio per questo. Non vediamo perché questa loro aspirazione sia condannabile. Tanto è vero che anche oggi i comunisti hanno la stessa aspirazione, che vorrebbero realizzata in modo pacifico e democratico.
Ci sembra che il suo libro si collochi nel filone di tutti i revisionisti della nostra storia e di tutti gli anticomunisti, convinti che gli oppressi e i
loro oppressori siano da porre sullo stesso piano: cosa assolutamente impossibile, perché non sono equiparabili. Ciò non potrà che rivoltarsi contro chi ha esposto un tale antistorico assunto e contro i suoi seguaci, in buona o cattiva fede.