L’ordinanza «rivoluzionaria» del gup di Brescia Spanò bacchetta la collega Forleo sul concetto di terrorismo, desumendo la definizione di questo terribile fenomeno dal «comune» modo di sentire della comunità e, ovviamente, dagli elenchi delle organizzazioni terroristiche stilate dalla Cia, con un successivo ripescaggio, da parte del procuratore capo di Brescia, della teoria penalistica della «colpa d’autore» di cui la cultura giuridica italo-tedesca europea sembrava essersi liberata da molti decenni. Visto, comunque, che dobbiamo parlare del «comune sentire», tanto vale rifarci a questo ma anche alle leggi – Costituzione italiana compresa – e analizzare il tutto in un unico ragionamento che il gup non ha forse avuto il modo di svolgere, stante la fretta di chiudere le porte del carcere per i «terroristi» graziati dalla Forleo.
L’ordine «democratico» che gli imputati si proponevano di sovvertire con atti di violenza (articolo 270 bis c.p.) è quello di un paese sovrano, invaso da una coalizione di stati in violazione delle più elementari norme di diritto internazionale, con motivazioni palesemente false. L’Italia, per entrare in questa coalizione di invasori, ha dovuto anch’essa violare pesantemente il suo «ordine democratico» e le sue leggi, spacciando per umanitaria la partecipazione in armi per superare così tutti gli ostacoli costituzionali, dal noto articolo 11, al 78 (le camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al governo i poteri necessari) per finire con l’87 (il presidente della Repubblica dichiara lo stato di guerra deliberato dalle camere).
A proposito del «comune sentire» la stragrande maggioranza dei cittadini italiani (e europei) si è schierata contro questa guerra, è scesa in piazza e ha inondato le città con le bandiere arcobaleno della pace.
Il punto dolente, però, non tanto dell’ordinanza del gup, quanto in prospettiva, è quello del coinvolgimento della stessa giurisdizione nello «scontro di civiltà» con relativa presa di posizione per il civilissimo occidente. Le dichiarazioni del procuratore Tarquini riportate dalle agenzie, infatti, recepiscono acriticamente l’idea di un Islam (religione, popolo o entrambi ?) integralista e antidemocratico che vede nell’occidente un nemico da abbattere e non da combattere.
Ci sfugge la logica di Tarquini, ma anche di Pisanu e compagni: i soldati della coalizione combattono per combattere (anche se sono invasori, radono al suolo città e villaggi, torturano e uccidono) mentre i terroristi islamici combattono per abbattere (anche se sono bombardati e massacrati).
Posta questa distinzione, il resto – dalle scelte giurisprudenziali a quelle politiche – viene di conseguenza. Se sei islamico inserito in una organizzazione che recluta gente disposta ad andare in Iraq a combattere (pardon, ad abbattere) gli invasori non puoi non essere terrorista: vale non quello che fai e perché lo fai, ma quello che sei, compreso l’inserimento nella lista della Cia (la «colpa d’autore»). Mentre se sei inserito in un esercito «regolare» puoi anche autoinvitarti ad una festa di nozze, scambiare gli invitati per terroristi, ammazzarne un buon numero e non rispondere di nulla perché vale non quello che fai ma quello che sei: un democratico, occidentale, giudaico-cristiano.