Mentre molti dei piddini da Transatlantico hanno trascorso anche la giornata di ieri a discutere di quanto sia «bella» (come dice Prodi) o meno bella la squadra che si insedierà nel loft, con l’occhio sempre vigile all’elezione del nuovo capogruppo del Pd a Montecitorio, Walter Veltroni è passato alla sua «fase due». Archiviate le prime scene previste dal copione post 14 ottobre – insediamento della costituente e nomina dell’esecutivo – e rinsaldata la (momentanea?) non belligeranza col Professore, il sindaco di Roma sta lavorando, da solo e senza ambasciatori, al “dialogo” con le altre forze del centrosinistra. Naturalmente né Veltroni né altri della sua prima cerchia parlerebbero mai del tentativo di «annettere» altri soggetti nel Pd. Per dirla con le parole di Massimo Brutti, che presidia l’ala sinistra della real casa democratica, «qui non facciamo mica shopping di politici, come Berlusconi». Semmai, aggiunge il deputato, «nel rispetto di tutti, ci stiamo rendendo conto che dalle parti di chi è rimasto fuori dal Pd potrebbe esserci presto più d’un ripensamento». Fondata o meno che sia l’ipotesi di Brutti, sta di fatto che nell’agenda del segretario è ricomparso un vecchio appunto: allargare i confini del Partito democratico. A sinistra e a destra del loft.
Anche per questo, sfruttando il giro di tavolo su riforma e legge elettorale, il sindaco di Roma potrebbe lanciare la sua controffensiva. Usando tutt’altre armi rispetto a quella dell’«opa ostile». Così ieri, mentre si riuniva la direzione di Rifondazione comunista per mettere a punto «una nuova agenda» per incalzare Veltroni, quest’ultimo aveva in programma un faccia a faccia con Alfonso Pecoraro Scanio, poi rinviato per un problema tecnico dell’ultim’ora. Al contrario che in altre zone della sinistra, dentro i Verdi – dicono dal partito – c’è «fiducia in Walter e nella sua capacità di compattare tutta l’Unione», magari «su una riforma elettorale che mantenga lo schema bipolare, dando garanzie sulla rappresentanza e la governabilità».
Uno che con Veltroni ha lavorato per anni, come il deputato del gruppo Prc-Sinistra europea Pietro Folena, ripassando a mente le ultime uscite del segretario del Pd, rileva: «Walter sta già facendo il suo mix. Per esempio, ha dato un colpo forte sul tema sicurezza ma si è pure espresso senza indugi a favore della commissione d’inchiesta sul G8 di Genova». Morale? «Io non sono d’accordo con lui e con il Pd, e infatti lavoro su altri fronti – aggiunge Folena – ma mi rendo conto che il partito col loft aperto e senza tessere potrebbe essere okkupato, con la kappa, da chiunque, persino dai centri sociali».
Il tema dei confini del Pd riguarda anche, forse soprattutto, la “destra” dell’Unione. «È ovvio che se il Partito democratico decide di andare da solo perde», ragionava ieri Clemente Mastella. «Ma se invece mette in atto una specie di sistema dove c’è un pianeta al centro attorno a cui gravitano dei satelliti – era la seconda parte dell’analisi del Guardasigilli – allora si può rischiare».
Il rischio mastelliano, per ammissione stessa del leader del Campanile, presuppone una variabile di partenza che si richiama all’esperienza della Democrazia cristiana. Con un partito-perno al centro e «partiti di ispirazione cattolica come noi, sia di ispirazione ambientalista come i Verdi, tanto per fare un esempio». Allora, è il risultato cui giunge il guardasigilli, «è chiaro che a noi converrebbe rischiare». Certo, rimane il nodo della legge elettorale. E mentre Mastella preferiva ricordare soltanto che «Veltroni non ha firmato il referendum e di questo gli dò atto», il segretario del Pd – di fronte alla consulta socialista messa in piedi da Giorgio Ruffolo – ribadiva i suoi desiderata. Uno su tutti: arrivare a un sistema che «non spinga ad alleanze forzate».
Le mosse di Mastella fanno il paio con quelle dell’Italia dei valori. Ieri l’altro Veltroni ha incontrato Leoluca Orlando, che tra i dipietristi è quello che si è assicurato la nomina ad «ambasciatore dell’Idv presso il Pd». Così l’ex sindaco di Palermo: «Il Partito democratico è il vero sogno della mia vita. Non a caso, nel lontano 1991, scrissi un libro su questo progetto. Noi abbiamo preso atto che fino ad ora non si sono create le condizioni giuste. Resta il fatto che per un partito come il nostro, che pur essendo piccolo sostiene i referendum, quella era e resta la prospettiva principale». E poi, aggiunge Orlando, «il Pd può essere più grande sia degli errori che ha commesso sinora sia delle nostre stesse critiche». Nell’agenda Veltroni, tutto questo si traduce in un nuovo incontro che il sindaco di Roma avrà con una delegazione italvalorista la prossima settimana.
Con un occhio ai rischi del modello Forza Italia, su cui ieri si è soffermato Giuliano Amato («Le aggregazioni politiche devono avvenire in altri modi, che oermettano di sfueeire alla deriva di un leader che vive a stretto rapporto con l’opinione pubblica, in cui è maestro chi è partito da Publitalia»), il segretario dei Pd giura che il Pd non sarà un partito del Novecento ma nemmeno «un partito liquido». Le parole d’ordine sono le stesse sentite e risentite negli ultimi tempi: coniugare «radicamento sul territorio» e «ventre della società» con «nuove forme di partecipazione democratica». E poi, parole di Veltroni, «deve essere più aperto, a rete». Per questo, nel nuovo loft, al segretario toccherà ridiscutere il rapporto tra partito e sindacati. Con la certezza che la nomina alla segreteria della Ciampi girl Laura Pennacchi conta, come conta il rapporto di amicizia con Guglielmo Epifani. Chissà, magari lavorando nella direzione indicata dal presidente dell’Ires Agostino Megale, fresco di elezione alla costituente del Pd, secondo cui «da oggi bisognerà lavorare su una prospettiva che si fondi sulla pari dignità tra partito e forze sociali». Con un occhio alle «convenzioni di programma» di quegli Stati Uniti tanto cari a Veltroni.