La prima verifica sull’andamento dei prezzi al consumo in maggio mostra che l’allarme per un ritorno in forze dell’inflazione era esagerato. Su base mensile i dati delle città campione indicano un’inflazione dello 0,3%, su base mensile, con un 3% su base annua. Oggi si avranno i dati di Torino che non dovrebbero cambiare il quadro complessivo; né s’attendono variazioni di rilievo per il 15 giugno, quando saranno disponibili i dati sui prezzi relativi all’intero territorio nazionale.
Gli aumenti più considerevoli, circa metà dell’inflazione mensile, sono connessi al salto in alto dei prezzi bi benzina e gasolio. Viceversa a remare contro l’inflazione è stata l’autorità garante per l’energia e il gas che il 26 aprile ha fatto ritoccare in giù le tariffe al pubblico. Aumentano ancora i prezzi dei generi alimentari, soprattutto in alcune città (Trieste 0,9%, Venezia 1,1%) e anche se la spesa alimentare non è (ancora) determinante, contribuisce al risultato complessivo. Venezia con 0,5% e Trieste con 0,4% di inflazione sono infatti tra le città in cui i prezzi sono aumentati più che nella media delle città campione.
L’inflazione del 2001 forse rallenterà ma alla fine risulterà più alta di quella programmata. Infatti l’inflazione programmata è del 2,9% su base biennale; un risultato raggiunto ben prima di quella scadenza. Ma è sull’inflazione programmata che si costruisce o si fa crollare la pace sociale.
L’accordo tra imprese e lavoratori, alla base dei contratti nazionali, ha al centro dei rapporti economici la difesa del potere d’acquisto del salario; è stabilita, sulla carta, una sorta di recupero automatico che ristabilisce, con un ritardo di un paio di anni, la situazione iniziale. I sindacati dimostrano con un sistema contrattuale così concepito di avere a cuore la tenuta delle imprese.
Con l’ultima vertenza contrattuale che scade alla fine di giugno, saranno sei milioni i lavoratori dipendenti senza contratto: 3,3 milioni sono dipendenti delle imprese industriali, a partire dai metalmeccanici (1,5 milioni) il cui contratto è scaduto alla fine del 2000. Poi vi sono (e utilizziamo i dati che corredano un articolo di Massimo Mascini Il Sole 24 Ore): gli addetti alle ferrovie e all’elettricità, e ancora le persone addette al commercio, alle imprese di pulizia, agli studi professionali. In tutto attendono un contratto altri tre milioni di persone.
Nel caso dei metalmeccanici la controparte padronale, Federmeccanica, “offre” il recupero dell’inflazione programmata, quanto a dire il 2,9%, pari a 85 mila lire in media. Il sindacato chiede 135 mila lire, per recuperare lo scarto tra l’inflazione realmente verificatasi e quella programmata per il biennio 1999-2000, mai recuperata più una piccola quota legata al buon andamento del settore. E’ un problema di giustizia, di equo rispetto dei patti; se poi questo non sembra un argomento sufficiente, ve ne è un altro: anche il padronato dovrebbe chiedersi se non sia meglio che i lavoratori abbiano i mezzi per comprare merci e servizi che producono. Oppure Confindustria ritiene che l’export o il mercato dei beni di lusso bastino per tenere in piedi le imprese?