La Francia sciopera in massa contro la legge sul primo impiego

“Storico”, esulta Bernard Thibault, segretario generale della Cgt: tre milioni in piazza, assicura. Magari esagera, ma erano certamente più, molti di più, delle altre manifestazioni anti-Cpe. La stessa polizia ne ha contati un milione, il doppio del 18 marzo
scorso. Un fiume di gente a Marsiglia (200mila), una marea a Parigi (700mila per i sindacati), e piazze piene a Rennes, Bordeaux, Lione, Lilla, Tolosa, Nantes. C’erano gli studenti liceali e universitari, ma stavolta affiancati da ospedalieri, ferrovieri, insegnanti, postelegrafonici: il servizio pubblico sul piede di guerra, e che Villepin «serre les fesses, on arrive en vitesse», che stringa le chiappe perché arriviamo in tromba. C’erano anche i «casseurs», qualche centinaio, ormai dediti al banditismo da strada: in questi mari di folla arrivano correndo in nugoli, ti spintonano, ti buttano a terra, ti ficcano le mani in tasca e filano con telefonino, portafoglio, borsetta, e se reagisci ti spaccano pure la faccia. Ieri però per loro era meno facile del solito. A Parigi non c’erano soltanto quattromila Crs a vigilare con la loro panoplìa di attrezzi anti-guerriglia cittadina e anche una novità, i fucili che sparano proiettili di pittura indelebile: l’agente si mette in ginocchio come uno sniper, individua il teppista e lo marchia a distanza, in modo che non possa confondersi nella massa e che non resti che coglierlo, più tardi, come una pera matura. Ieri i casseurs hanno dovuto vedersela anche con il servizio d’ordine del sindacato, ed è stato bizzarro vedere robusti giovanotti della Cgt o di Force Ouvrière, armati di corti manganelli e di bombolette piene di gas lacrimogeno, avventarsi sui teppisti venuti dalla periferia, immobilizzarli, menarli per benino e consegnarli ai poliziotti. L’hanno fatto davanti alla sventurata brasserie «Au vrai Marcel», alla quale avevano spaccato tutti i vetri a suon di isteriche pedate, e poi più tardi alla fine del corteo, in place de la Republique.
Ma il segno della giornata è rimasto quello del popolo che sfila, non del «casseur» in felpa e cappuccio. Un sacco di popolo, «che Villepin non può fingere di non sentire», diceva un altro segretario generale, François Chereque della Cfdt, proprio quello, così moderato e ragionevole, sul quale Villepin contava per spaccare il fronte sindacale: «Non sono il pompiere di servizio», gli ha mandato a dire l’altro, scendendo giù per i boulevard sottobraccio a comunisti e gauchisti di ogni sorta. E dietro il servizio pubblico (e anche gente del privato) i ragazzi, quasi increduli di esser decuplicati in un mese. Bizzarro anche sentirli parlare, grida rabbiose per una sconcertante ragionevolezza: vogliamo discutere con Villepin, ma che ritiri il Cpe, sennò di cosa discutiamo? Vogliamo studiare e poi lavorare in condizioni dignitose, cosa c’è di strano? Non vogliamo nessuna rivoluzione, solo un giorno poter pagare un affitto, contrarre un mutuo, magari sposarci, cosa c’è di strano? Niente, per carità, ma di solito erano i giovani a voler rovesciare la tavola, e i primi ministri a tenerla ferma. Un collega giura di aver parlato non solo con genitori solidali, ma anche con nonni e nonne preoccupati per l’avvenire dei nipotini. Più tardi vediamo un cartello nella folla: «Les grandparents avec les jeunes», i nonni con i giovani, da stropicciarsi gli occhi.
La Francia è uscita in strada, ma non si è paralizzata. Ha funzionato più della metà dei treni, tre quarti degli aerei, il 70 per cento dei metrò, tre autobus su quattro. Ha scioperato il 40 per cento degli insegnanti, il 27 per cento dei ferrovieri, il 15 per cento dei postelegrafonici e anche i lavoratori della Tour Eiffel, che ha riaperto solo in serata. Per questo gli studenti hanno chiesto ai sindacati di salire ancora di tono, e di proclamare uno sciopero generale. Il passo è difficile, se si pensa che in tutto il secolo scorso accadde tre volte, e non di più. Decideranno stasera il da farsi. Villepin li aveva invitati per oggi a palazzo Matignon, ma loro hanno declinato l’invito. Vero è che il primo ministro, ancora ieri davanti all’Assemblea, rifiutava ogni ipotesi di ritiro del Cpe: «Sono aperto alle modifiche, purché non siano di ordine legislativo». È disposto a diminuire il periodo di prova, da due anni a un anno, ma non ad abolire la libertà di licenziare. Al massimo, ha detto, si potrebbe introdurre «un colloquio al momento della rottura» del contratto: il licenziato, par di capire, avrebbe diritto a qualcosa di più di una lettera raccomandata. Un tocco umanitario, del quale è facile immaginare che cosa si propongano di fare studenti e sindacati.
Quanta strada, dal Dominique che tre anni fa arringava applauditissimo l’assemblea delle Nazioni Unite, al de Villepin bersagliato, sbeffeggiato e sempre più isolato di oggi, chiuso nella prigione di Matignon. Quel piglio moschettiere non è più il tratto di un uomo aitante e sicuro delle sue buone ragioni: è diventato l’espressione ottusa di un uomo testardo che pecca d’orgoglio. Lo mollano anche i suoi, deputati e ministri. Lo fa il numero due del governo, Nicolas Sarkozy, che da giorni predica il compromesso e propone la sospensione del Cpe e la contemporanea apertura di un negoziato con le parti sociali. Non lo fa ancora Jacques Chirac, che però dev’essersi finalmente accorto che il problema non è più quello del solo Cpe, ma della credibilità politica del suo governo e del suo primo ministro. Dall’Eliseo si è fatto sapere che il presidente rinuncerà agli spostamenti previsti per il fine settimana: resterà a Parigi per seguire la situazione.