La crisi delle banlieues ha fatto scattare il ripensamento dei socialisti francesi rispetto a un’indifferenza e addirittura una compromissione : il 10 novembre scorso, il Ps ha presentato un emendamento a una legge del 23 febbraio 2005 sui «rimpatriati» d’Algeria, proposta dalla destra Ump e passata allora al Senato con il voto anche dei socialisti, il cui l’articolo 4 recita : «I programmi scolastici riconoscono il ruolo positivo della presenza francese oltremare, in particolare in Africa del nord». Martedì, con 183 contro 94, l’emendamento per abolire questo articolo è stato respinto dall’Assemblea. «Un doppio scandalo contro la memoria e la storia», secondo lo storico algerino Daho Djerbal, mentre il segretario del Fln algerino, Abdelaziz Belkhadem, deplora che «i deputati della maggioranza in Francia abbiano dedicato una legge a falsificare la storia». Il voto ha fatto slittare la firma del trattato d’amicizia franco-algerina, già prevista entro l’anno.
Le frasi volate in aula martedì illustrano bene lo stato del dibattito politico oggi in Francia, che riguarda il passato ma soprattutto il presente, soprattutto dopo l’esplosione delle violenze da parte dei figli e nipoti degli immigrati nord-africani e africani. Una parte sempre più consistente della destra Ump (il partito di Chirac e del premier Sarkozy), ormai «senza complessi», ha adottato la terminologia dell’estrema destra. Si va dal disprezzo («osservo che il signor Bouteflika [il presidente algerino] non è rancoroso – ha ironizzato il deputato Ump Lionel Luca – perché è venuto a farsi curare in Francia [è ricoverato al Val de Grâce]: bell’omaggio al colonizzatore!») alla voglia di revisionismo («basta pentimento», «basta con il politicamente corretto anti-occidentale», «la storia, si dice, è sempre scritta dai vincitori. Per la guerra d’Algeria, i vincitori furono i partigiani dell’indipendenza e la sua storia, o la sua vulgata, è stata scritta dai loro compagni di strada»: sono frasi pronunciate in aula martedì).
Sul fronte opposto, la deputata (indipendente Ps) della Guyana, Christiane Taubira, ha trovato le parole giuste per ribattere: «Non chiedo riparazione per le spoliazioni o per il sesto della popolazione algerina decimato nel corso dei 25 primi anni della conquista. Non chiedo neppure che sia taciuto il ruolo emancipatore dei maestri francesi o il coraggio dei numerosi militari francesi in occasione dell’epidemia di colera del `49». Ma denuncio «l’impresa di lacerazione dell’umanesimo» e ha invitato i deputati a riconoscersi nella «voce della Francia che dà forza e speranza agli oppressi della terra e non in quella che si chiude nella nostalgia».
La legge del febbraio 2005, così riconfermata, viene da lontano. E’ dal 2003 che deputati di destra – eletti soprattutto nel sud della Francia, a forte presenza di rimpatriati – cercano di introdurre nelle leggi la «positività» della colonizzazione. Sono le associazioni dei rimpatriati che hanno chiesto al ministro dell’Istruzione di intervenire sui manuali scolastici, e sono riuscite a far costruire monumenti alla gloria dell’Oas (Organizzazione dell’esercito segreto), che si era opposta con violenza all’indipendenza dell’Algeria, tra cui la stele inaugurata a luglio a Marignane, vicino a Marsiglia, dopo quelle di Tolone, Nizza, Théoule-sur-Mer- e Perpignan.
La storia così fa irruzione nel dibattito politico presente. Lo scorso inverno un «Appello contro il razzismo anti-bianco», in seguito alle violenze contro dei manifestanti liceali operate da gruppi di casseurs venuti dalle banlieues, era iniziativa del movimento sionista Hachomer Hatzaïr e di radio Shalom (firmato anche dal filosofo Alain Finkielkraut, oggi di nuovo in primo piano perché ha definito le rivolte di banlieue come «etnico-religiose»). A gennaio la petizione «Indigeni della Repubblica», del Collettivo musulmani di Francia (vicino a Tariq Ramadan), aveva «comunitarizzato» lo scontro, con le dichiarazioni dell’attore Dieudonné che definiva «pornografia della memoria» le commemorazioni della Shoah.
La scorsa primavera, dopo la legge sul «ruolo positivo» della colonizzazione, più di un migliaio di storici e personalità aveva firmato una petizione – «Colonizzazione, no all’insegnamento di una storia ufficiale» – per denunciare «il disprezzo della storia e delle vittime». Tra i firmatari, i resistenti Aubrac, il filosofo Etienne Balibar, il sindacalista Gérard Aschieri della Fsu, l’attore Guy Bedos, il regista Patrice Chéreau. «Questa legge appare come un regolamento di conti, una strumentalizzazione del passato» ha affermato lo storico Claude Liazu, all’origine della petizione: «Si sente odore di Oas». Lo storico Gérard Noiriel, specialista dell’immigrazione, denuncia «un contributo al sentimento di umiliazione che rischia di accentuare il ripiego su se stessi e va contro la politica d’integrazione».
Gli storici si interrogano anche sull’opportunità di legiferare sulla storia e la sua interpretazione. Citano la legge Gayssot del luglio `90, che condanna il negazionismo dell’Olocausto («non giusta a livello dell’etica storica, anche se è stata utile», per lo storico Jean-Pierre Azema), la legge Taubira del 10 maggio 2001 che riconosce la tratta dei neri e la schiavitù come crimine contro l’umanità e quella che riconosce il genocidio armeno da parte dei turchi. Per molti, queste leggi parlano di «fatti», non di «interpretazioni» (come invece quella sul «ruolo positivo» della colonizzazione), e sono legittime. Non è d’accordo lo storico Pierre Vidal-Naquet: «Vomito sui negazionisti, ma non tocca allo stato dire come si insegna la storia. Tutto ciò che somiglia a storia ufficiale è pernicioso».