Venerdì 27 marzo, mentre Berlusconi e i suoi varavano il loro partito reazionario di massa alla Fiera di Roma, in un’altra zona della capitale si svolgeva un’assemblea che dava, al contrario, il segno dell’evento più importante e nuovo nello schieramento di sinistra. All’Hotel Palatino, infatti, nelle stesse ore si teneva l’iniziativa “Uniti contro – Insieme per. Comunisti e sinistra, l’opposizione e l’alternativa”, promossa da l’ernesto, il periodico che con il suo direttore Fosco Giannini ha molto lavorato in questi mesi per una ricomposizione tra le diverse realtà organizzate dei comunisti in Italia. I giornali non ne hanno parlato, troppo concentrati sulla nascita del Pdl, nel nuovo sistema bipartitico nostrano. Tutto ciò che esula dai due partiti maggiori viene oscurato, dimenticato, cancellato. Soprattutto se riguarda i comunisti. Eppure un osservatore non fazioso avrebbe capito subito che l’incontro dell’Hotel Palatino era importante. E’ stata la prima, grande iniziativa di una stagione nuova, quella che vede insieme Rifondazione e Comunisti italiani, oggi con una lista unitaria per le elezioni europee, in futuro con la prospettiva di costruire un nuovo partito comunista italiano, più ampio delle due realtà attuali di Rc e Pdci. Poche ore dopo, nella mattina di sabato, sarebbe stato presentato il simbolo elettorale che sancisce l’unità ritrovata tra i comunisti e altre realtà della sinistra alternativa.
Non era rituale, l’incontro di venerdì scorso. La campagna elettorale vera e propria deve ancora iniziare e l’appuntamento ha permesso di dare più spazio alla riflessione, all’approfondimento. E soprattutto ha dato visivamente una panoramica delle forze vive che compongono l’opposizione, oggi, ben oltre il moderatismo subalterno del Partito democratico. Quelle forze vive erano rappresentate sia nella platea affollata e partecipe (nessuna passività, quando era il caso il pubblico interloquiva con gli oratori, interrompeva, si faceva sentire), sia nei discorsi dal palco.
Dopo un saluto videoregistrato di Paolo Rossi e Gianni Minà, entrambi accomunati dalla delusione e contemporaneamente dalla speranza nell’unità delle forze progressiste, il primo intervento in sala non a caso è stato di Ciro Argentino, operaio della Thyssen. La classe, il lavoro, sono al centro dell’impegno dei comunisti. Lo hanno dimostrato le parole di due rappresentanti del sindacalismo di base e della Cgil, Fabrizio Tomaselli, coordinatore nazionale del Sindacato dei lavoratori (Sdl)e Giorgio Cremaschi, della segreteria nazionale della Fiom-Cgil. Tomaselli non ha risparmiato critiche ai partiti che hanno sostenuto l’ultimo governo Prodi e ha messo in guardia da una nuova “guerra tra poveri”. Molto applaudito, Cremaschi non è stato tenero nelle sue analisi. Ha ricordato come oggi un operaio, nelle contraddizioni della crisi, possa apparire nello stesso tempo crumiro e rivoluzionario. E ha invitato ad abbandonare ogni moderatismo, per evitare la deriva che ha caratterizzato il Pd, capace di fare opposizione al governo Berlusconi solo su cose inessenziali, mentre trova accordi con la destra su tutti i punti nodali della vicenda italiana.
Sia Tomaselli che Cremaschi hanno sottolineato l’esigenza di dare voce agli immigrati, i lavoratori oggi meno tutelati. E la voce dei migranti si è ascoltata, direttamente, poco dopo, quando ha preso la parola Niane Ibrahima, della Cgil di Brescia: la lotta degli immigrati, ha ricordato, è essenziale anche per i diritti dei lavoratori italiani, le sorti degli uni e degli altri sono legate strettamente.
Insieme al mondo del lavoro, nel dibattito c’era la società, c’erano i movimenti che sui territori hanno continuato a operare e a mobilitarsi, nonostante le difficoltà e lo scenario politico sfavorevole. Ha preso la parola Mariella Cao, “eroina sarda” secondo le parole di Fosco Giannini. Spiegando la vicenda del comitato “Gettiamo le Basi”, Cao ha segnalato il disincanto dei movimenti verso le forze del centrosinistra, ma ha fatto capire che un soggetto politico di vera opposizione sarebbe un interlocutore prezioso. Lo stesso segnale è venuto da Alvise Ferronato del “No Dal Molin – Vicenza”, uno dei bastioni delle mobilitazioni dal basso contro la Nato e il servilismo italiano verso gli Usa, e da Francesco Cirigliano, dei Gruppi d’acquisto popolari della Basilicata.
Accanto alle esperienze di lotta del sindacato e dei movimenti c’è stato anche un forte richiamo all’esigenza delle ricerca e dello studio delle nuove condizioni di classe nel mondo odierno. Lo ha fatto in particolare Sergio Cararo, direttore di Contropiano, che ha ribadito la necessità di un’analisi attenta della crisi del capitalismo e ha ricordato come i dissensi antichi non abbiano impedito alla Rete dei comunisti di collaborare proficuamente con Pdci e Prc sulle questioni internazionali (dalla Palestina a Cuba). E Domenico Losurdo, docente all’università di Urbino, autore di saggi controcorrente sul liberalismo e sulla storia politica del Novecento, ha voluto mettere in guardia dai rischi di involuzione e svuotamento delle democrazie, quando il monopolio della rappresentanza torna quasi esclusivamente nelle mani delle classi dominanti.
I due segretari nazionali del Pdci e di Rifondazione si sono alternati nelle conclusioni e i loro interventi hanno chiarito il senso politico dell’iniziativa. E’ spettato a Oliviero Diliberto dare l’annuncio di quella che ha definito “la cosa più importante” in questo momento: il simbolo comune alle prossime elezioni. La notizia della conclusione positiva degli incontri tra i due partiti è stata salutata dal grido “unità!”, ripetuto più volte dal pubblico, e dai pugni chiusi alzati. Ancora una volta si è avuta la conferma che il popolo comunista chiede un percorso unitario e lo ritiene urgente. Paolo Ferrero da parte sua ha sostenuto che questo sia il momento di “valorizzare tutta l’unità che è possibile, tutti gli elementi che ci uniscono”. Le articolazioni politiche vanno messe in secondo piano, secondo Ferrero, ma senza fretta: l’unità deve essere costruita sulla roccia, non sulla sabbia.
Non si tratta di un’alleanza a fini elettoralistici, dettata dalla necessità di superare lo sbarramento del 4 per cento. Lo ha chiarito Diliberto: “Per noi del Pdci questo passaggio politico delle europee non è elettorale: se diamo l’impressione che stiamo insieme perché bisogna superare la soglia di sbarramento, la soglia non la superiamo”. Per il segretario nazionale del Pdci, subito dopo le elezioni occorre costruire subito in Italia “un unico, nuovo partito comunista meno piccolo di quelli attualmente esistenti”. E ha aggiunto: “La storia dei partiti comunisti è stata segnata da divisioni e litigi, ma tutto questo va lasciato definitivamente alle spalle. Guardando al presente e al futuro, quello che ci unisce è infinitamente più grande di quello che ci divide”.
Per spiegare le ragioni di fondo dei comunisti, Diliberto ha fatto riferimento proprio al caso della Thyssen, dove alcuni lavoratori sono stati riassunti e altri no. “Solo chi si è rifiutato di costituirsi parte civile contro il padrone è stato riassunto”, ha detto Diliberto. E ha concluso: “Sinché ci sarà un’Italia del genere, ci saranno anche i comunisti a combattere contro un’Italia del genere”.