La Fiom: retribuzioni ferme da dieci anni

E’ inutile che i padroni neghino l’evidenza: in Italia esiste una drammatica questione salariale. Prova ne è il fatto che tra il 1995 e il 2004 le retribuzioni reali – depurate quindi dagli effetti dell’inflazione – sono rimaste sostanzialmente ferme, essendo cresciute solo dello 0,2% (al lordo delle tasse) a fronte del 16,1% della Germania e del 10,5% della Francia. La denuncia arriva dalla Fiom, da nove mesi impegnata con Fim e Uilm a sgretolare il muro eretto da Federmeccanica sul rinnovo del biennio economico delle tute blu. Gli industriali infatti sono ancora convinti che la strada dello sviluppo passi per il taglio del costo del lavoro. E così, non paghi dei due miliardi di riduzione del cuneo fiscale previsti in Finanziaria, ripropongono il loro diktat: salario in cambio di flessibilità.
Le tute blu stanno rispondendo con scioperi a livello territoriale. Il prossimo appuntamento è per il 26 ottobre a Roma, quando si riaprirà la trattativa ristretta. «Verificheremo se ci sono le condizioni per aprire una vera trattativa – ha detto ieri il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini – è inutile che ci rivediamo per riproporre ciascuno le proprie posizioni». Se non ci saranno passi in avanti, ulteriori iniziative saranno decise l’11 novembre a Milano durante l’assemlea di migliaia di delegati metalmeccanici. E’ vero che, per sbloccare il negoziato, siete disposti a concedere qualcosa sul terreno della flessibilità? «No – risponde secco Rinaldini – le nostre posizioni sono note. Loro parlano di competitività noi abbiamo posto due paletti, la sovranità delle Rsu e l’articolo 5 sull’orario di lavoro. Per quanto riguarda la legge 30, abbiamo come riferimento gli accordi siglati unitariamente in migliaia di aziende e che limitano fortemente gli effetti negativi di questa legge».

Con Federmeccanica si schiera il governo: «L’andamento delle retribuzioni negli anni ’90 – afferma il sottosegretario al Lavoro, Maurizio Sacconi – è stato caratterizzato da una piatta moderazione salariale che anche la Fiom ha coltivato nel nome di un pregiudizio politico favorevole ai governi di centro sinistra e di un ossequio tutto ideologico al modello contrattuale centralizzato». Colpa del contratto nazionale, sostiene dunque Sacconi, il quale sembra non comprendere che il modo vecchio di ragionare è proprio il suo.

Lo dimostra il fatto che in questi dieci anni di moderazione salariale anche la produttività in Italia è cresciuta molto meno degli altri paesi europei. I dati dell’Osservatorio sull’industria metalmeccanica, presentati ieri dalla Fiom, dicono che usando come indice cento il 1995, nel 2004 la produttività risultava a quota 107,2 a fronte di un 134,8 della Francia, un 137,5 della Germania e un 148,1 del Regno Unito.

Non è certo la ripresa di ordinativi (+1%) e di fatturato (+6.6%) registrata ad agosto dall’Istat che può invertire la tendenza. «Occorre molta cautela – commenta Marigia Maulucci, segretaria confederale della Cgil – trattandosi di agosto, infatti, possono avere inciso sui risultati i differenti scaglionamenti delle ferie, cioè le differenti entità dei giorni lavorati». «Siamo ancora dentro il tunnel» taglia corto il segretario confederale della Cisl, Giorgio Santini, sottolineando che questi dati «vanno confrontati con quelli molto negativi dei mesi scorsi».