La finanziaria del 2007 farà da freno alla crescita del prodotto lordo: lo sostiene il Centro studi della Confindustria che ieri ha presentato il consueto rapporto di previsione. Nemmeno per sogno, ha ribattuto in serata il ministro dell’economia Tommaso Padoa Schioppa, «la manovra 2007 è una delle più favorevoli alle imprese» ed «è di crescita, non recessiva».
Lo scontro è di per sé una novità e dà la misura di quanto la continua pressione di Confindustria abbia superato la soglia di tollerabilità anche per un ministro «liberale al 100%». Quella valutazione, ha voluto precisare, «è fuori linea rispetto a tutte le valutazioni degli organismo internazionali». Infine, la stoccata finale: Confindustria è un sindacato e deve tutelare interessi particolari. Credo che in questa vicenda si sia comportata più come un partito». Che gli interessi del paese e quelli delle imprese coincidano, del resto, è teoria messa in dubbio da molti.
Vediamo un po’ la questione nei dettagli. Per gli esperti confindustriali, dopo una crescita del pil dell’1,8% nel 2006, nel 2007 ci sarà un temporaneo rallentamento e la crescita del pil dovrebbe attestarsi all’1,4%. Ma potrebbe esserci una ulteriore flessione dello 0,3% in conseguenza delle misure contenute nella finanziaria, perché «l’effetto restrittivo della manovra delineata dall’insieme delle misure presentate dal governo a settembre su consumi, investimenti e di conseguenza sull’import» potrebbe rappresentare un ulteriore freno alla crescita che in questo caso si attesterebbe all’1,1%. La destra ha preso la palla al balzo e hanno «esternato» Alemanno, Sacconi, Cicchitto, Napoli. Tutti più o meno hanno parlato del 2007 come di un anno di recessione, dimenticando i 4 anni di crescita quasi zero del governo Berlusconi. Ma ha ragione la Confindustria nella sua analisi?
La premessa è che anche nella casa degli industriali non sempre ci azzeccano. Basti pensare che solo tre mesi fa avevano previsto per il pil una crescita nel 2006 dell’1,5% (uno 0,1% meno del governo) e ora sono stati costretti a rettificare prevedendo una crescita dell’1,8%. Ma non basta. L’analisi previsiva viene condotta con modelli econometrici che danno per scontato che una manovra basata per due terzi su maggiori imposte sia necessariamente restrittiva e porti quindi a un rallentamento del pil. Ma non è sempre così. Anzi. In pratica solo la parte (circa 15 miliardi) finalizzata al rientro nei parametri di Maastricht (il deficit sotto il 3% del pil) ha queste caratteristiche di breve periodo. Per la rimanente cifra (20 miliardi) si tratta unicamente a) di trasferimenti di reddito finalizzati a ridurre il costo del lavoro per le imprese attraverso il taglio del cuneo fiscale; b) a alimentare la domanda dei redditi più bassi; c) a fornire risorse per il finanziamento della spesa pubblica per investimenti. Da un punto di vista economico questi tre interventi sono espansivi. Soprattutto se vanno a ridurre un risparmio che altrimenti non si tradurrebbe in investimenti (salvo quelli finanziari) o in maggiore spesa per consumi. Insomma, la manovra potrebbe addirittura avere effetti espansivi, e non restrittivi, e potrebbe alimentare un circolo virtuoso di nuovi investimenti e maggiori consumi da parte dei redditi più bassi.
In Confindustria d’altra parte sono abituati a metter «le mani avanti». Ieri, infatti, sulla finanziaria sono piovute critiche in abbondanza: «si è persa un’occasione importante per porre mano a questioni che da troppi anni vengono rinviate». ha sostenuto il vicepresidente degli industriali, Andrea Pininfarina. Secondo il quale «un vero risanamento avrebbe dovuto tagliare la spesa pubblica in un quadro di cambiamento strutturale dei meccanismi di spesa e di riduzione della presenza pubblica nel nostro sistema economico». Poi ha aggiunto che con la finanziaria se è invece preferito ridurre l’indebitamento attraverso un aumento delle tasse». Per Pininfarina, si tratta di un percorso intrapreso negli ultimi 15 anni senza successo perché le maggiori entrate finiscono sempre per essere compensate da una nuova spesa pubblica.
Poi, in serata, la reazione orgogliosa di un ministro «tecnico» che sa bene, per esperienza diretta, quanto alcune «ricette» molto consigliate abbiano un’origine radicata in interessi particolari e identificabili, non certo nella «scienza».