La festa è già finita

Il bentornato a Daniele Mastrogiacomo l’abbiamo già dato. Ma ieri ci auguravamo che valesse anche per il suo interprete del quale era in forse la liberazione. Troppo condizionati dall’esperienza negativa delle fasi della liberazione di Giuliana Sgrena, stavolta abbiamo tirato un sospiro di sollievo convinti che tutto fosse finito davvero, con la sola intenzione di incrociare le dita «sulla via dell’aeroporto». Ora sappiamo che la vicenda del rapimento del giornalista italiano in Afghanistan non è conclusa. Non solo l’interprete Adjmal Nashkbandi non è stato ancora liberato dai talebani, ma è stato addirittura arrestato Rahmatullah Hanefi il mediatore afghano, un impiegato dell’ospedale di Emergency a Lashkargah, che ha sostenuto la trattativa portandola a buon fine insieme a Gino Strada. Suona come un atto d’accusa la protesta dei familiari dell’interprete di Daniele Mastrogiacomo che nelle sedi del governo di Kabul hanno gridato: «Quanti talebani saranno rilasciati ora per la liberazione di Adjmal?». Perché gli ostaggi sono tutti eguali.
Al contrario accade che nella stagione della guerra a pagare il prezzo più alto siano i giornalisti locali o i collaboratori locali degli inviati occidentali, quando non addirittura i giornalisti locali ridotti al rango di collaboratori e interpreti dei nostri giornalisti. Su questa moderna dequalificazione delle mansioni di chi testimonia per lavoro e sensibilità una guerra sanguinosa, avviene in più un inesorabile tiro al bersaglio: nel quarto anniversario della guerra americana all’Iraq è stato reso noto che sono stati 187 i giornalisti assassinati dei quali 157 iracheni, compresi tanti collaboratori, quelli che sulla notizia ti ci portano, che ti fissano l’appuntamento, che parlano una lingua che non saprai mai, che hanno una sensibilità di un paese in guerra che riguarda la vita e la morte non solo il pezzo da scrivere.
Diciamolo con chiarezza. Finché Adjmal e Hanefi non saranno liberati il sequestro dell’inviato di Repubblica resterà inconcluso, aperto come una ferita. E, con il misfatto della decapitazione del suo autista sempre davanti agli occhi, bene ha fatto Mastrogiacomo a chiedere al governo italiano di impegnarsi subito per la liberazione dei due afghani.
E non solo su questo. Conferenza di pace, apertura ai talebani. Va tutto bene. Ma in Afghanistan c’è la guerra e la risposta non può essere parteciparvi in armi o accorgersi improvvisamente che la guerriglia sta arrivando nella «nostra» Herat, che spara e colpisce i nostri soldati.
Ha un bel rallegrarsi il ministro D’Alema con gli Usa che tanto avrebbero «aiutato la soluzione del caso», e con il presidente Karzai per i suoi interventi «decisivi». Da Gino Strada sappiamo che in quell’area rappresentanti del governo non ce ne sono e che i loro sistemi hanno solo ritardato il rilascio. Con lo «strascico» del mediatore arrestato. Fonti governative dicono che è «normale» perché i servizi segreti afghani vogliono sapere. Tanto varrebbe a questo punto arrestare anche Gino Strada.