La duratura insensatezza

Quanti civili afghani devono morire perché gli Stati uniti considerino pareggiato il conto per le Torri? Non ne basteranno mai finché bin Laden non sarà preso vivo o morto, e a questo fine dispiegano portaerei, sommergibili, cacciabombarbieri e forze speciali, e sguinzagliano assassini autorizzati. Naturalmente non lo trovano e non riescono a farselo consegnare. Né a isolare politicamente i taleban, puntando prima sull’Alleanza del Nord, poi piantandola, e trafficando col re in esilio e col Pakistan, dove reggono Musharraf come la corda regge l’impiccato. Non sanno quanto sia vasta Al Qaeda, né fin dove il nazionalismo fondamentalista, che ogni loro bomba alimenta, sia terreno di terrorismo. Né come evitare altri attacchi, perché il jihad non si propone – come potrebbe? – di sbarcare a Manhattan, e può colpire soltanto con il terrore.
Fa paura che bin Laden o chi per esso sembri agire più lucidamente degli Stati uniti. Voleva metter fine alla percezione di invulnerabilità degli Usa e c’è riuscito. Voleva che si impaludassero in Afghanistan e c’è riuscito. Contava su bombardamenti crudeli quanto inutili, che aumentano il dolore e la collera contro di loro, e così avviene. Non è un guerrigliero isolato come quelli dell’America latina, gente che non avrebbe ucciso neanche un gatto, cui per fare la festa bastavano i rangers. Nuota nella sua acqua, ha grandi mezzi, si è lungamente preparato negli States e mira esplicitamente a metter le mani sul potere e sul petrolio della regione, sorretto da un nazionalismo umiliato e furente.
Provocati, gli Usa si sono mossi con assai maggior confusione. Possibile che nessuno abbia fatto le considerazioni di cui sopra? Che il Pentagono punti su un potenziale militare che gli consenta di vincere qualunque esercito, ma non una organizzazione nascosta in un territorio ostile e abituata alla guerra? Che non abbia creduto ai russi quando hanno detto che per terra l’Afghanistan è pressoché imprendibile e per via aerea bisognerebbe abbattere montagne su montagne? Che non abbia pensato come non fosse facile stringere d’assedio i taleban, ben armati e istruiti contro l’Urss, anche perché la loro fonte sta nel Pakistan e nei wahkhabiti dell’Arabia saudita? Possibile infine che ci sia voluto questo disastro perché Washington si sia accorta che permettere a Israele di colonizzare i territori e non costringerla a rientrare nei confini del 1967, avrebbe portato a una nuova Intifada, e che a un certo punto sarebbe sfuggita al controllo di Arafat come Sharon sfugge al controllo loro?
A meno che nel calcolo di Bush non entri in conto che, se non porta a una rapida vittoria, una guerra lunga ha preziosi effetti indiretti, come l’economia di guerra contro la minaccia di recessione, e l’utilità di collocarsi stabilmente in Afghanistan, che si trova giusto accanto alla Russia, all’Iran e alla Cina, oggi tutti fervidamente amici, ma domani chissà.
Sta di fatto che i corruschi media, che fino a ieri gridavano guerra guerra, accusando di ogni ignominia chi nutriva dei dubbi, parlano oggi di vicolo cieco. Qui siamo, a meno di due mesi dal massacro delle due Torri. E non si vede uno sbocco di pace, al contrario. Il signor Rumsfeld, che somiglia al matto di American Beauty, non esclude l’uso dell’atomica. Dobbiamo sperare che non la usi perché ce l’hanno anche il Pakistan, l’India e la Cina? Non sarebbe l’ora che dalla flebile Europa una voce dicesse che di “duratura” non c’è ormai che l’insensatezza?