Là dove nasce l’oro rosso del Cile

È considerata l’aristocrazia della classe operaia cilena. Sono i minatori la cui forza contrattuale e di lotta deriva dal controllo di uno dei settori strategici del paese, il rame. Come lo era stato prima, alla fine del XIX secolo e all’inizio del XX, quello del salnitro che vide nascere il movimento operaio cileno. Ma con la scoperta del processo di sintesi per la produzione di fertilizzanti, i villaggi di Humberstone e Santa Laura che ospitavano miniere di nitrati e minatori, sull’altipiano alle spalle di Iquique, sono diventati patrimonio dell’umanità protetti dall’Unesco.
«Privilegiati» i minatori lo sono dal punto di vista del salario (e non sempre, vista la lotta dei minatori di Escondida) ma certamente non per le condizioni di lavoro che sono tra le più proibitive. I minatori – quasi tutti maschi – passano la metà del loro tempo nella miniera sulla cordigliera a 3.000 metri di altitudine, con escursioni termiche fortissime, in turni di 12 ore al giorno e il resto a casa. Queste condizioni riducono il periodo lavorativo che in genere non va oltre i cinquant’anni di età. La monetizzazione, parziale, dei disagi non basta a normalizzare i rapporti con la famiglia. La metà dei minatori, infatti, secondo una recente inchiesta, sono separati. Incompatibilità provocata forse da una sorta di dissociazione tra la vita in miniera e nei villaggi appositamente costruiti per loro, dove l’unico svago diventa una birra bevuta nei bar della città più vicina, e quella nella propria casa di città.
Nel porto di Antofagasta i minatori di Escondida – la più grande miniera del Cile, a 170 chilometri a sud della città e a 1.300 chilometri a nord di Santiago – occupano le case della zona nord, classe media, e mandano i loro figli alle scuole e alle università private, diffusissime in Cile. Sulla presenza delle miniere del rame è basato lo svilippo di Antofagasta e del suo porto. E per questo i negozianti della città sono anche disposti a vendere a credito. Proprio per questa credibilità i minatori possono spendere i bonus che non hanno ancora ottenuto dall’azienda. I 2056 dipendenti di Escondida sono in sciopero dal 7 agosto e hanno bloccato completamente la produzione della miniera più grande del mondo, dalla quale vengono estratte 3.546 tonnellate al giorno di minerale, il 23,5 per cento del rame cileno e l’8 per cento della produzione mondiale. Tanto che la proprietaria, il colosso minerario australiano Bhp Billiton e la giapponese Mitsubishi, per far fronte alle forniture ha già dovuto fare ricorso alle riserve accumulate nei porti. Intanto continua il duro braccio di ferro tra l’azienda e i lavoratori, dopo che è fallito anche il tentativo di mediazione del governo della presidenta Michelle Bachelet. Nonostante il sindacato abbia ridotto la propria richiesta di aumento salariale dal 13 all’8 per cento e il bonus da 30.000 a 19.000 dollari (la Bhp Billiton è disposta a concedere un aumento del 4 per cento e 18.000 di bonus). Le richieste dei lavoratori sono legittimate dall’aumento del prezzo del rame sul mercato internazionale: da 67 centesimi nel 2003 a 3,5 dollari, con un picco di oltre 4 dollari in maggio. Ma l’azienda risponde con un «rischio calo» e propone un contratto di 4 invece che 3 anni, per evitare altre trattative e scioperi a breve termine. La multinazionale australiana ha avuto un’idea fantastica, anche se non proprio originale: perché non sostituire i minatori in sciopero con squadre di crumiri arruolati nel vicino Perù?
In Cile non esiste alcun contratto nazionale di lavoro collettivo, le aziende sono state quasi tutte privatizzate ai tempi di Pinochet, tranne rare eccezioni come quella della Codelco nazionalizzata da Salvador Allende nel ’71, e quindi la trattativa è privata. Dopo quindici giorni di negoziato senza accordo, l’azienda può trattare individualmente con i singoli lavoratori e pare lo stia già facendo. Per questo il sindacato ha deciso di rivolgersi alla Corte di Antofagasta per denunciare l’azienda per atteggiamento antisindacale. Se la Bhp Billiton è preoccupata per le perdite giornaliere (parla di 16 milioni di dollari), è preoccupato anche il governo per i mancati introiti fiscali. Sebbene le multinazionali siano favorite dal regime fiscale cileno.
Prima della fine dell’anno scadrà anche il contratto triennale della Codelco (Corporacion nacional del cobre), la più grande azienda produttrice di rame al mondo (10 per cento). Appartiene alla Codelco la miniera di Chuquicamata (da tutti chiamata Chuqui), la più grande miniera a cielo aperto del mondo. L’immensa vasca scavata a forma di anfiteatro, che ha una profondità di 900 metri e un diametro di circa 4 chilometri, può essere ammirata dall’alto dove una specie di osservatorio ospita i visitatori. Gli enormi camion salgono a passo d’uomo carichi di minerale da cui verrà estratto il metallo rosso. La direzione di Chuquicamata ci permette di osservare tutte le fasi della lavorazione ma ci impedisce di scendere nel cratere: è troppo pericoloso. E infatti, come si può leggere su un grande cartello che all’entrata della miniera fornisce tutte le cifre, la data dell’ultimo incidente è recente: il 23 luglio 2006. Il crollo di una cava ha provocato la morte di un operaio di cinquant’anni che si trovava sul suo camion. E’ stata aperta una inchiesta, anche perché il sindacato ha denunciato il fatto che da tre anni aveva notato una fessura che si stava allargando, l’incidente avrebbe potuto essere evitato con un intervento preventivo. Ma così non è stato. Tra l’altro, il crollo ha ridotto la produzione di Chuqui di due terzi, con gravi conseguenze sul mercato. Tuttavia gli incidenti rilevati nella miniera sono inferiori alla media dell’industria: il 4,2% per la Codelco contro il 12,1% per l’industria nel 2005. In ogni caso troppi, e spesso mortali. Ma le diverse condizioni di lavoro non giustificano i salari più alti percepiti dai 5.800 lavoratori impiegati in Chuqui e Rodomiro Tomic (altra miniera della Codelco a nord di Chuqui che dovrebbe collegarsi con la prima) e nemmeno la produzione, che sarebbe invece più alta in Escondida. Ma occorre tenere presente che Escondida è sfruttata solo da 17 anni, mentre Chuqui è in produzione dal 1911 (quindi il minerale è più sporco). Allora, perché questi lavoratori guadagnano di più? «Perché qui il movimento dei lavoratori ha alle spalle 100 anni di lotte», sostiene Raimundo Espinoza, leader del sindacato della Federacion de trabajadores del cobre (Ftc).
All’inizio del secolo scorso era stato costruito tutto il complesso di Chuqui, a 16 chilometri dalla cittadina di Calama, nel deserto di Atacama, che vive esclusivamente degli introiti della miniera. Chuqui, oltre alla miniera e agli impianti comprendeva anche le case dei lavoratori, la chiesa, l’ospedale, la mensa con accanto una sala Vip per gli ospiti. Gli operai si recavano nella vicina Calama solo la sera per bere una birra, e spesso più di una. Ma la vicinanza alla miniera era poco salutare per gli abitanti, visto che ora anche i lavoratori usano tute, caschi e filtri. Quindi la Codelco ha deciso di trasferire i minatori nella zona dell’aeroporto di Calama, a una ventina di chilometri dalla miniera. Il nuovo villaggio è moderno ma i lavoratori di Chuqui non sembrano entusiasti di vedere le ruspe seppellire le loro case e l’ospedale, resterà in piedi solo la chiesa.
La Codelco, con il suo 20 per cento di riserve mondiali di rame costituisce il pezzo forte del governo cileno: l’oro rosso è oggetto di importanti accordi commerciali con Stati uniti, Canada, Unione europea e altri. Ma la crescente domanda di materie prime arriva soprattutto dalla Cina che deve mantenere il suo impetuoso sviluppo. Il Cile, maggiore produttore di rame, è il partner ideale della Cina, che ne è il maggiore consumatore. Così Pechino inizia la sua espansione verso l’America latina proprio a partire da Santiago. Non è la prima volta che la Cina diventa un partner privilegiato del Cile: era stato il primo paese a rompere l’embargo economico contro la dittatura di Pinochet. Del resto, il regime sanguinario è stato sconfitto ma non la linea economica liberista ereditata dal Cile democratico, che così ha potuto mantenere un forte livello di sviluppo ma al prezzo di pesanti discriminazioni sociali.
Ed è proprio la Codelco, che in febbraio ha costituito una joint-venture da 550 milioni di dollari con la Chinas minmetals corporation, a garantire le forniture di rame alla Cina per i prossimi 15 anni, incidenti permettendo. L’accordo prevede che il Cile avrà un’esenzione di dazi sul 92 per cento delle proprie esportazioni (nel 2005 hanno superato i 4,5 miliardi di dollari), mentre la Cina non li pagherà sul 50 per cento delle proprie merci che arriveranno in Cile (nel 2005, due miliardi e mezzo). La corsa per l’accaparramento dell’oro rosso è frenetica e ogni ostacolo contribuisce alla fibrillazione dei prezzi sul mercato mondiale.