Secondo i primi sondaggi a pie de urna , il centro-destra catalanista ha vinto le elezioni di ieri in Catalogna, i socialisti avrebbero perso da 3 o 4 seggi, i repubblicani potrebbero averne guadagnati 2 o perso 1, i post-comunisti dovrebbero essere cresciuti di 2 o 3, i popolari resterebbero fermi o andrebbero indietro di 2.
Se il conteggio confermerà gli exit-polls (i seggi si sono chiusi alle 20 di ieri sera), tutti i giochi sono aperti per la nuova Generalitat che governerà la più ricca regione spagnola nei prossimi 4 anni. Fin d’ora è certo che nessun partito potrà governare da solo e dovrà aprire i negoziati per arrivare alla maggioranza dei 68 seggi su 135.
Grosso modo confermati i sondaggi della vigilia. CiU, Convergencia i Uniò, il centro-destra catalanista che fu di Jordi Pujol al governo dall’80 al 2003 e ora è guidato dal suo delfino Artur Mas, dovrebbe aver vinto le elezioni per il Parlament di Barcellona con 45-48 seggi (ne aveva 46); il Psc, il Partit dels Socialistes (la branca catalana del Psoe), con il suo candidato José Montilla, dovrebbe scendere a 37-40 (contro i 42 attuali); Erc, Esquerra Republicana de Catalunya del tumultuoso Josep Lluis Carod-Rovira, dovrebbe oscillare fra 21-24 (ora ne ha 23); Icv-V, Iniciativa per Catalunya-Verdes, i post-comunisti-verdi di Joan Saura, dovrebbero aumentare a 10-12 (contro i 9 attuali); il Partido Popular, la destra spagnolista con a capo l’ex comunista Josep Piqué, dovrebbe assestarsi fra 13-15 (ora ne conta 15). La novità potrebbe essere Ciutadans de Catalunya, una formazione nuova nata in Catalogna ma su posizioni nettamente anti-catalaniste (diritti umani e valori universali più un liberismo radicale) e anti-partito (il suo candidato, Albert Rivera, si è fatto immortalare nudo sui manifesti elettorali): potrebbe avere 2 seggi, non tanti comunque da risultare determinanti. Alla decina di altre liste – dai marx-leninisti ai trotzkisti, dal Partit Antitauri (animalisti contrari alla tauromachia) ai Citadans Descontents – solo lo zero virgola e nessun seggio.
Le elezioni regionali catalane sono un passaggio di grandissima importanza non solo per la Catalogna ma anche a livello nazionale. Prima di tutto per il premier socialista José Luis Rodriguez Zapatero, che non a caso si è speso molto per sostenere la candidatura, piuttosto opaca, del candidato del Psc a President della Generalitat, José Montilla. Prima di tutto perché sono le prime in vista delle regionali in tutte le altre 16 Comunità autonome dell’anno prossimo e della politiche del 2008. Poi perché sono un test importante a livello nazionale in una fase di cruento scontro politico fra il governo del Psoe e l’opposizione a morte del Pp soprattutto rispetto al difficile processo di pace avviato fra Zapatero e l’Eta basca (che ottusamente i popolari boicottano come una «resa dello Stato al terrorismo»). A livello catalano la loro importanza sta nel fatto che sono le prime dopo il sofferto tragitto che ha portato all’approvazione, prima alle Cortes madrilene poi nel referendum regionale di giugno, all’approvazione del nuovo statuto d’autonomia nel cui preambolo si definisce la Catalogna «una nazione»: la nuova Generalitat sarà quella che dovrà gestirne i vastissimi poteri di fronte o contro un’opposizione dei popolari che grida allo «smembramento» dell’unità nazionale (ma anche all’interno dei socialisti c’è chi storce il naso davanti all’«egoismo» delle regioni più ricche, come la Catalogna che conta da sola per il 18.8% del Pil nazionale).
Proprio sullo statuto si è rotto il tripartito di sinistra (Psc-Erc-Icv) che ha retto la regione dal 2003: per gli indipendentisti repubblicani sono stati troppi i tagli apportati «da Madrid» (e da Zapatero) al testo originario. Anche il socialista Maragall, che per Zapatero si era spinto troppo avanti sulla strada dell’autonomismo, è caduto per strada, sostituito da Montilla.
Ora tutte le ipotesi sono aperte. Una coalizione «social-convergente» (Psc-CiU), che darebbe stabilità e piacerebbe oltre che ai poderosi industriali catalani, forse anche a Zapatero per le contropartite che il centro-destra catalanista sarebbe costretto a dare nel parlamento nazionale. La riedizione del tripartito di sinistra, forse non troppo gradita al premier per il radicalismo di Carod-Rovira. Infine una coalizione catalanista CiU-Erc, che però sembra al momento poco probabile.