La difficile anomalia di essere Cuba

Solo tre giorni prima che il manifesto contro la rivoluzione cubana voluto dai Democratici di sinistra (l’ex Partito comunista italiano) fosse affisso nelle principali città, la Corte costituzionale del Guatemala ha autorizzato il generale Efrem Rios Montt a presentarsi candidato alla presidenza della Repubblica nonostante la Costituzione di quel paese vietasse a chi ha capeggiato un colpo di stato una simile possibilità. Il mio amico Michele Serra che su Repubblica ha lodato il «coraggio» dell’iniziativa Ds a questo punto potrebbe chiedermi «che c’entra questo argomento con Cuba?». Lo potrebbe fare se come la segreteria Ds e il suo ineffabile dipartimento per l’America latina, non sapesse però perfettamente che Rios Montt è uno dei tre generali autori, con la complicità del governo degli Stati uniti, dell’ultimo genocidio del secolo appena trascorso, quello delle popolazioni maya avvenuto per tutti gli anni `80 e fino all’inizio degli anni `90. Questo genocidio non è stato mai condannato dalla Commissione dei diritti umani dell’Onu e sulle gesta recenti del generale Rios Montt i Ds non hanno mai chiesto un dibattito parlamentare, né faranno affiggere manifesti di protesta. Eppure Cuba è lì, nello stesso continente, nella stessa area geografica e quando si prendono atteggiamenti plateali per stigmatizzare la sua illiberalità bisogna pure chiedersi, se non si è ipocriti, contro cosa sta lottando ciò che resta della revolucion .

Cuba sta lottando contro il terrorismo che viene dalla Florida e che mira, con sequestri di aerei o di barche, a fomentare un nuovo esodo dall’isola in modo di avere la giustificazione per un intervento militare che cancelli, definitivamente, l’anomalia dell’isola. Ma se perde la sua indipendenza, la sua decorosa povertà, il domani della stessa isola potrà solo avvicinarsi o alla disperazione del Guatemala, o alla violenza della Colombia (dove il presidente Uribe governa concedendo mano libera ai paramilitari che hanno trucidato mille persone in sei mesi) o alla tragedia del Perù dove la polizia del presidente Toledo manda i carri armati a sparare sulla folla che protesta per le nuove restrizioni economiche imposte dal Fondo monetario, o rischiare la fame inaudita dell’Argentina svenduta dall’economia neoliberale. Perché sicuramente, a Cuba liberata dalla rivoluzione e da Castro non toccherà certo la vita del Lussemburgo, dell’Olanda. Ai cubani, insomma, nell’era di Bush jr (che deve pagare il debito elettorale agli anticastristi della Florida che gli hanno fatto vincere in modo rocambolesco le elezioni) toccherà la vita miseranda che le multinazionali e la finanza speculativa degli Stati uniti (e anche del Ue?) sceglieranno per loro. Così quando arriverà un giovane inviato del Corriere della Sera oppure di Repubblica gli adolescenti cubani non dovranno più esprimere la loro insoddisfazione per l’impossibilità di partire o di accedere ai consumi, perché staranno già sniffando colla, magari con un telefonino rubato in mano, come fanno 20 milioni di minori in America latina per vincere la fame. Perché questa è la turlupinatura della comunicazione che promette loro un mondo che non vivranno, come accadeva agli albanesi che sognavano una vita migliore guardando Rai Uno.

Per questo se non si è ipocriti non è fuori luogo ricordare la quotidianità del Guatemala oggi parlando di Cuba. Magari per cercare di capire cosa sta accadendo nell’Isola dove la sindrome dell’assedio Usa ha portato purtroppo il governo a scegliere scorciatoie brutali invece di aperture democratiche. Il generale Rios Montt, seguace di una di quelle sette religiose che negli Stati uniti sono la base elettorale del presidente Bush jr, nel frattempo ha fondato, infatti, un partito che la gente, condizionata dal terrore, ha votato portandolo alla guida del Parlamento, carica con la quale il vecchio generale condiziona e controlla il presidente eletto Portillo. Così Rios Montt, invece di essere processato dalla corte dell’Aja come ad esempio Milosevic, può ancora tenere in pugno il paese dei maya, magari con l’aiuto di sicari che, solo un anno fa, hanno assassinato il contabile della Fondazione Rigoberta Menchu, colpevole di aiutare economicamente le migliaia di famiglia che vorrebbero far causa allo stato e ai militari man mano che la ricerca dei medici patologi, al lavoro nelle tremila fosse comuni (ripeto il dato, 3.000), riportano alla luce i resti dei loro disgraziati congiunti. Qual è allora non dico la morale, ma almeno la logica con la quale si muove il partito che fu quello storico della sinistra italiana? Non si discosta dalla strategia di James Cason, l’aggressivo nuovo incaricato di affari nordamericano a l’Avana che è stato dotato di 52 milioni di dollari da usare per costruire un’opposizione all’interno di Cuba. E il partito dei Ds, in questo caso, non è per nulla turbato dall’idea che la democrazia si possa comprare. Con tanti saluti al diritto di autodeterminazione dei popoli. Nel numero doppio di Latinoamerica Maria Còrdoba, insegnante all’Istituto superiore d’arte all’Avana, si chiede: «Chi ci critica sa cosa vuol dire esattamente e concretamente vivere un embargo? Essere un paese del Terzo mondo al collasso perché punito duramente da un blocco economico che dura da decenni? O essere in balia dei periodi speciali causati magari dal crollo del blocco socialista?» e aggiunge: «Noi madri cubane siamo state punite dall’Impero fino all’infinito e all’impossibile ed abbiamo anche sacrificato molto del meglio di noi stesse per una semplice ragione: non vogliamo bambini trascurati, mendicanti, drogati, trafficanti, analfabeti, abbandonati, assassinati, venduti interi o a pezzi». E questa è invece la realtà all’ordine del giorno di un continente per il quale la comunità europea ora fa finta di preoccuparsi mettendo però all’ordine del giorno, della prima riunione dei ministri degli esteri sotto la presidenza italiana, proprio l’unico paese del continente dove questi problemi elementari di dignità umanità o di rispetto per l’infanzia sono stati risolti.

«Come faccio a parlare di diritti umani a Cuba – ha dichiarato una volta Frei Betto, t eologo della liberazione – quando in America latina milioni di persone non hanno conquistato ancora i diritti animali, quelli di avere un tetto, uno straccio per ripararsi dalla pioggia o dal sole, il cibo di tutti i giorni da dare ai propri figli e ai più deboli?».

E allora, come mi ha chiesto Maria Suino consigliere regionale Ds del Piemonte, sconcertata dall’iniziativa del suo partito, «è legittimo giudicare un paese non per ciò che ha conquistato (educazione, sanità, tutele sociali, cultura, pratica sportiva) ma per ciò che ha fallito (diritti politici, libertà di informazione)?».

Io dico che è legittimo perché ogni coercizione va respinta. Quello che non è accettabile è favorire con le proprie azioni chi ha deciso di cancellare a qualunque costo, anche con la provocazione e il terrorismo, uno straordinario momento di emancipazione collettiva come è stata la rivoluzione cubana, pur fra tante contraddizioni, errori, miopie, durezze.

In questi giorni molti funzionari nordamericani erano in Italia. C’è chi doveva incontrare Berlusconi e lo ha fatto nelle sedi più disparate. C’erano altri, come Otto Reich che ha dato una grintosa intervista al Corriere della Sera ma non si sa perché fosse a Roma nello stesso giorno in cui Fini riceveva Alina, una dei sette figli di Fidel Castro, che da anni (alternando momenti d’amore o di insofferenza per gli Stati uniti) fa parte del mondo degli oppositori di suo padre.

Otto Reich è lo stratega da anni di tutte le guerre sporche in America latina ed anche di tutti i piani illegali contro la revolucion, è un cubano americano che negli anni Reagan è stato uno degli autori della disinformazione sul governo sandinista ed è stato molto vicino al famigerato generale Oliver North, quello che, a Sigonella, con modi da cow boy si voleva portar via i sequestratori della «Achille Lauro» rischiando un conflitto a fuoco con i carabinieri. Più volte Otto Reich è stato accusato di aver mentito al Congresso tanto che George W. Bush non è riuscito ad avere la sua riconferma a vicesegretario di stato per l’America latina e ora lo utilizza come consigliere personale per portare avanti progetti scabrosi come può essere l’attacco frontale al regime dell’Avana. Ma Bush jr, dopo la piega che ha preso la storia sui falsi rapporti con i quali è stata giustificata la guerra in Iraq, certe iniziative per destabilizzare Cuba non le può più prendere esplicitamente. Lo possono aiutare però Berlusconi (che incontrerà fra pochi giorni nel suo ranch in Texas) e Aznar, premendo sulla comunità europea, e specie se non trovano resistenza in chi, fino a ieri, cantava «Guantanamera», magari alla scuola di partito delle Frattocchie.

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