La deriva rambista della polizia locale

Da sempre le forze di polizia usano e abusano della discrezionalità insita nei loro poteri, a fin di bene dicono alcuni: sino alle discriminazioni razziste e all’arbitrario violento, raccontano tante vittime e testimoni (anche fra gli stessi agenti). Dall’inizio degli anni ’80 in quasi tutte le polizie municipali delle grandi città è invalsa la moda di creare unità speciali per perseguitare rom e nomadi in genere, gli ambulanti abusivi (in nome della lotta alla contraffazione e in combutta con polizie private assoldate dai grandi marchi forniti dagli stessi produttori che alimentano il mercato delle cosiddette contraffazioni) e per accanirsi contro quanti non soddisfano i profili graditi ai cittadini zelanti. All’interno della cornice sicuritaria ormai consolidata nella fortezza Europa, le polizie pubbliche e private, nazionali e locali, fanno a gara sul terreno del rambismo, della pulizia etnica della città o della «caccia al negro» (espressione usata da alcuni agenti dell’apposita squadra della polizia municipale bolognese voluta dall’allora sindaco PdS Vitale).
Come raccontano alcuni agenti, in un tale contesto gli agenti democratici sono stati costretti al silenzio, a volte marginalizzati o messi in «quarantena». I più sensibili alle sollecitazioni razziste hanno creduto di avere nuove grandi opportunità, ovviamente ancora di più con le amministrazioni locali e nazionali di destra. Non solo la loro impunità è stata sempre assicurata, ma non sono mancate neanche le gratificazioni in termini di premiazioni, passaggi di carriera o tacito assenso alle bustarelle, alle estorsioni o persino all’appropriazione di merci e soldi sequestrati ai potenziali perseguitati. Ovviamente in questo andazzo si sono riciclate le pratiche abituali di alcuni addetti al rilascio delle licenze, di alcuni dell’annonaria e di qualcuno che fa controllo del territorio. Chirivì (l’ex comandante dei vigili milanesi), De Corato e l’ex-sindaco Albertini sono sicuramente al corrente di queste pratiche come sono sempre stati attenti a non far mancare alle casse del comune l’enorme contributo derivante da multe di ogni sorta (circolano voci sull’istituzione di «premi di produzione» e non solo a Milano). I lavoratori autonomi cinesi sono sempre stati particolarmente prediletti dagli agenti che devono «fare cassa» (alcuni in parte per se stessi e in parte per il comune), così come dai commercianti che vogliono vendere a peso d’oro attività ormai fallimentari o proprietari di locali o abitazioni fatiscenti che trovano così un «terno al lotto».
Adesso la signora Moratti pretende di fare l’integerrima oppure si profila qualche grande affare immobiliare consigliato da qualcuno vicino alla giunta? Qual è la vera posta che vuole giocare il governo della città? E’ questa la domanda da farsi ben conoscendo che a Milano non si fa nulla senza che ci siano in ballo affari. La «rivolta» dei cinesi di Milano è palesemente l’esito della rottura della «gestione del disordine» da parte delle forze di polizia locale; un disordine voluto non già dai cinesi, ma da chi trae profitto dal mettere il nuovo arrivato in condizioni di essere sempre sul filo dell’infrazione. La ribellione cinese è palesemente una reazione di esasperazione provocata da vessazioni continue e insopportabili ma è stata possibile perché questi immigrati non solo hanno una certa coesione ma hanno anche la fortuna di avere alle spalle un paese che li difende (non è certo il caso di tanti paesi che sono pronti a svendere come carne da macello i propri connazionali all’estero, non perché sono poveri e senza voce, ma perché disprezzano gli emigrati, come faceva l’Italia coi suoi espatriati sino agli anni ’70).
Negli ultimi mesi, alcuni agenti delle polizie sono stati inquisiti a Genova, a Torino e in altre città. Quasi tutti questi casi sono accomunati dalla pratica di abusi, appropriazioni indebite e altri reati a danno di stranieri (classico il caso dei poliziotti che su indicazione di un confidente straniero andavano a casa di qualche compatriota di questi con la scusa di una perquisizione, sapendo di trovare danaro che sequestravano per loro stessi). Se si vuole tentare un po’ di risanamento sarebbe utile che qualche democratico delle forze di polizia collaborasse con gli immigrati contro ogni pratica razzista.

*** Professore di sociologia all’Università di Genova